Natale Pennelli, Gigliola Ludovichetti, Gianmaria Pennelli

La conoscenza delle basi anatomo-patologiche della Medicina è sicura guida per un adeguato orientamento diagnostico, prognostico e terapeutico. Il malato de­nuncia sintomi che vanno valutati anche in chiave ana­tomo-isto-citopatologica. La preparazione professionale ed il buon senso del Medico, spesso senza la possibilità di una collaborazione da parte del Paziente, dovranno dapprima centrare e poi costruire la nosologia dei sin­goli casi.

Quando e come il Medico potrà (e dovrà) pensare di utilizzare il Servizio di Anatomia Patologica? In effetti succede troppo spesso che un campione biologico giunga all'anatomopatologo gravemente deteriorato. Non solo, ma quante volte il modulo di richiesta d'esame che accompagna il campione (che è l'unico mezzo che consente all'anatomopatologo di individua­re i singoli Pazienti e di ricollegarne il presente cam­pione ad eventuali altri che l'hanno preceduto) è impre­ciso, vago, disorientante? Ogni laureando Medico deve sapere come rivolgersi al Servizio di Anatomia Patolo­gica per utilizzarne le possibilità diagnostiche e deve sapere come compilare correttamente una richiesta d'esame istologico.

La richiesta d'esame istologico e/o citologico rap­presenta un documento ufficiale, al quale si fa riferi­mento in caso di contestazioni e serve all'anatomopato­logo per conoscere e utilizzare ai fini diagnostici le ne­cessarie informazioni cliniche relative alla sintomatolo­gia di una particolare condizione patologica, alla tera­pia eseguita e ai precedenti anamnestici. Si ricordi che è deontologicamente e legalmente scorretto che i pezzi operatori o i campioni citologici prelevati ad un Pa­ziente siano eliminati senza previa indagine anatomo­patologica. Una adeguata raccolta e conservazione del materiale biologico da sottoporre ad esame microscopi­co è indispensabile per l'esatta interpretazione dei dati. Si predispongano e si usino possibilmente dei conteni­tori di plastica con tappo a tenuta: vi vanno sempre in­dicate le generalità del Paziente con le essenziali preci­sazioni, che vanno poi dettagliatamente riportate sul modulo di richiesta. Per eventuali esigenze speciali si consulti per tempo l'anatomopatologo (8).

Il personale sanitario paramedico (infermieri, tecnici di laboratorio, citotecnici, ecc.) deve collaborare con il Medico provvedendo ad eseguire le manipolazioni tec­niche più adeguate per una ottimale conservazione dei campioni e la corretta compilazione della Richiesta d'esame. La recente istituzione del Diploma Universi­tario (cosiddetta "laurea breve") per infermieri, tecnici sanitari di laboratorio biomedico, ecc. ha lo scopo di formare un ruolo intermedio di professionisti che siano culturalmente in grado di operare con autonomia e re­sponsabilità, per quelle mansioni di loro competenza, nei vari settori in cui è articolata l'assistenza sanitaria (9).

Il Servizio di Anatomia Patologica è uno dei Servizi a disposizione dei clinici nell'interesse dei malati. Tale Servizio si articola in diverse branche: attività di set­torato (per l'esecuzione di necroscopie), attività isto­patologica (per controllo diagnostico di pezzi operato­ri, per la stadi azione patologica post-operatoria e per la definizione istologica di campioni bioptici), attività di citologia (per lettura di materiale cito logico ai fini del­la prevenzione o per la diagnosi ambulatoriale agoaspi­rativa o di altri prelievi ambulatoriali e/o intraoperato­ri). Strettamente correlate con queste attività si stanno sempre più sviluppando metodiche speciali ai fini di una interpretazione anche funzionale del reperto morfologico (patologia clinica integrata).

La più importante nuova metodica è la immunoisto­chimica, di sempre più frequente utilizzo complemen­tare nella diagnostica isto e citologica routinaria. An­che la biologia molecolare e la citometria a flusso, la morfometria e la microscopia elettronica, se adegua­tamente utilizzate, hanno di recente dimostrato un ruo­lo importante e talora insostituibile nella migliore defi­nizione clinico-patologica delle neuropatie, miopatie, nefropatie, tumori endocrini, linfomi, ecc. Altre moder­ne procedure a disposizione del patologo sono la tele­patologia e il sistema Internet che si stanno rivelando di grande utilità per la consultazione diagnostica, l'au­tomatizzazione dello screening citologico e l'aggiorna­mento a distanza fra patologi. La telepatologia dina­mica, con la trasmissione diretta e continua dell'imma­gine in tempo reale, ha trovato infine utile applicazione per gli esami intraoperatori effettuati in ospedali isolati,sprovvisti di un patologo (14).

 

A. PEZZI OPERATORI, BIOPSIE E CITOLOGIE

 

l. Tutti i campioni biologici da fare esaminare van­no posti (se non diversamente concordato) in adeguata quantità di liquido fissativo. Adeguata quantità signi­fica almeno lO parti di fissativo per ogni parte (in volu­me) del pezzo da fissare. Il liquido fissativo deve esse­re preparato nel contenitore dei pezzi prima che questi vi vengano depositati, altrimenti il pezzo si attacca sul fondo del recipiente ed il fissativo non lo avvolge uniformemente. Si usi comunemente la Formalina al 10% che si prepara diluendo l parte di formolo (confe­zioni commerciali di aldeide formica al 40% in voI.) con 9 parti di acqua. I pezzi in formalina possono esse­re conservati indefinitamente.

2. Per i piccoli frammenti bioptici si raccomanda l'immediata fissazione in liquido di DUBOSQ-BRA­ZIL (formolo cc 240, alcool etilico 80°cc 600, acido acetico glaciale cc 60, acido picrico soluzione acquosa satura cc 8) od in liquido di BOUIN (soluzione acquo­sa satura di acido picrico parti 15, formolo p. 5, acido acetico glaciale p. l). Tali due ultimi fissatori possono essere tempestivamente richiesti al nostro Istituto o conservati già pronti presso i Reparti. Un piccolo cam­pione è bene non resti in tali fissativi oltre 24 ore. Sui pezzi così preparati l'anatomopatologo e i tecnici pro­cederanno poi allo sgrossamento e alla rifinitura dei campioni da includere fino all'allestimento dei vetrini istologici per la lettura. Gli usuali tempi tecnici dal ri­cevimento del pezzo da esaminare alla refertazione del­la diagnosi istopatologica richiedono due o tre giornate lavorative, qualora non sia necessario ricorrere all'uti­lizzo di metodiche speciali.

3. Particolare attenzione richiede il prelievo e l'in­vio di linfonodi. Infatti, la maggior parte dei problemi insoluti nei linfomi è dovuta ad alterazioni del materia­le inviato per artefatti di prelievo o di fissazione. L'istologia di routine rimane l'indagine più importante nella diagnostica dei linfomi anche se spesso è richie­sto l'utilizzo di tecniche speciali (immunoistochimica su materiale fissato o congelato, tecniche di biologia molecolare, microscopi a elettronica ecc.) per una mi­gliore definizione diagnostica. Per una più valida ap­plicazione dell'immunoistochimica è utile la fissa­zione in B5 (miscela di sublimato e formaldeide). Bi­sogna infatti tenere a mente che anche per l'immunoi­stochimica possono verificarsi reperti "falsi positivi" (colorazione di fondo, attività di enzimi endogeni, erro­ri di esecuzione nella tecnica, ecc.) e "falsi negativi" soprattutto per inadeguata fissazione (4). Reperti inat­tesi si riferiscono alla reazione dell'anticorpo con epi­topi di una molecola e non con la molecola intera o la cellula. È utile la valutazione citologica su "imprints"di tessuto fresco. Per lo studio citogenetico e microbio­logico si richiedono sospensioni cellulari in condizioni di massima sterilità.

4. Nell'ambito della CITOLOGIA è bene distingue­re la "citologia di screening" che proviene da soggetti clinicamente asintomatici ed ha lo scopo di assicurare la massima affidabilità al referto di "negatività" per precursori cellulari maligni, per aspetti di patologie in­fiammatorie o per quadri disendocrini. La "citologia diagnostica" riguarda invece prevalentemente soggetti sintomatici, cioé portatori di una qualche lesione, per i quali l'accertamento di natura presuppone non solo una buona esperienza citologica ma anche una conoscenza di base dell'istopatologia, dell'anatomia patologica in generale e in tutte le sue espressioni, comprese quelle di tipo specialistico.

La diagnosi citologica si è enormemente sviluppata in questi ultimi decenni e rappresenta un valido ausilio della medicina moderna per la sua facile applicazione in tutte le sedi del corpo (5). Papanicolaou, nel 1920 pubblicò il metodo di citodiagnostica vaginale per la valutazione ormonale e per la diagnosi precoce del can­cro cervicale. La tecnologia moderna permette di ese­guire prelievi con ago sottile non solo in masse super­ficiali ma anche su piccoli nodi profondi intraparenchi­mali sotto guida ecografica o con l'ausilio della TAC o della RMN. In mani esperti la citologia è diventata una pratica clinica molto importante che l' anatomopatologo utilizza a scopo diagnostico a conferma del sospetto clinico e/o radiologico di masse palpabili o non palpa­bili presenti nelle sedi più diverse, superficiali o profonde.

Un costante controllo di qualità a tutti i livelli del laboratorio di istologia e citologia (segreteria, archivia­zione dati, esecuzione tecnica, screening citologico, ecc.) deve assicurare un alto standard di accuratezza diagnostica ("benchmark"), quanto più vicino possibile a quello indicato nei più qualificati laboratori interna­zionali.

 

B. VERSAMENTI IN CAVITA' SlEROSE

 

Vanno eparinizzati a circa l'uno per mille (od altri­menti trattati, ad es.: adde mI 1 di sodio citrato al 3,8% per mI IO del versamento) per evitarne la coagulazione subito dopo il prelievo. Se coagulano risultano poi inu­tilizzabili. Il campione va inviato al più presto al labo­ratorio di anatomia patologica. Se tale campione non può essere subito recapitato, bisogna conservarlo in fri­gorifero ("non sotto zero"). Se un versamento è limpi­do ed il Medico richiede la ricerca di cellule neoplasti­che, è necessario inviare una maggiore quantità di li­quido (100-200- cc). Se invece il versamento è torbido, ciò indica sicuramente che la sua cellularità è più ele­vata e quindi può bastarne molto meno.

Le cavità sierose sono delimitate da mesotelio che aseguito di stimoli di varia natura dà luogo alla forma­zione di un fluido in cui sfaldano le cellule di rivesti­mento della siero sa ( mesoteli normali, iperplasici, ati­pici, ecc.) non di rado commisti a elementi di tipo in­fiammatorio (macrofagi, fibroblasti, ecc.) o a cellule neoplastiche estrinseche (adenocarcinomi, linfomi, ecc.). La valutazione citologica dei versamenti nelle cavità sierose può presentare notevoli difficoltà nella diagnosi differenziale con i processi iperplastico-reatti­vi, il mesotelioma, i sarcomi e le metastasi di adenocar­

. cinoma (l). Il mesotelio infatti, per la sua derivazione mesodermica, è un'unità dotata di potenzialità bifasica che può assumere di volta in volta caratteristiche morfologiche simil-epiteliali o simil- fibroblastiche. Il mesotelioma è una neoplasia che per le implicazioni te­rapeutiche, prognostiche e medico-legali, richiede par­ticolare attenzione da parte del patologo. Prima di af­frontare lo studio citologico è bene valutare sempre la storia clinica (esposizione all' asbesto), il reperto radio­logico e la eventuale presenza di un versamento emati­co non altrimenti giustificato.

 

L'iperplasia delle cellule mesoteliali è un processo reattivo a varie condizioni patologiche quali:

. infezioni (polmoniti, ascessi,ecc.),

. infarti (embolismo, infarto del polmone, infarto intestinale, ecc.),

. cirrosi ed epatiti,

. collagenopatie sistemiche,

. trattamenti radianti e/o chemioterapia,

. pleuriti virali o tubercolari

. tumori polmonari subpleurici benigni (amartomi ) o maligni,

. pneumoconiosi croniche progressive (asbestosi, ecc.).

 

Per quanto riguarda la morfologia è bene tener pre­sente che tutte le cellule che permangono a lungo in un fluido tendono ad assumere forma globosa, e vanno in­contro a fenomeni regressivi citoplasmatici di vario grado. Queste alterazioni si possono riscontrare in mo­do variabile sia in cellule normali che in elementi neo­plastici. La ricca cellularità di uno striscio e 1'abnorme pattern di aggregazione dei mesoteli in morule o pa­pille hanno significato di atipia, ma possono talora essere indotti dal procedimento tecnico di centrifuga­zione del fluido durante le manovre di arricchimento. Nei mesoteli i nuclei molto voluminosi, duplici, iper­cromici, nucleolati o anche in mitosi non sono necessa­riamente indicativi di malignità. Infine la presenza di papille con stroma collageno o l'evidenza di corpi psammomatosi o di cellule signet-ring non sono reperti diagnostici definitivi (Fig. 1-8).

 

I principali criteri citologici per la diagnosi di me­sotelioma maligno sono:

  • cospicuo aumento della cellularità, monomorfismo cellulare,
  • maggiori dimensioni dei mesoteli maligni rispetto ai mesoteli normali e/o reattivi,
  • forme allungate e/o bizzarre dei citoplasmi mesote­liali,
  • pleomorfismo nucleare con aggregati cromatinici, . nucleoli voluminosi,
  • mitosi frequenti.

A differenza dall'adenocarcinoma, le cellule del me­sotelioma lasciano quasi sempre riconoscere una zona di citoplasma marginale più pallida, priva di organuli e ricoperta da lunghi e irregolari microvilli (Fig. 9). In casi in cui i dati clinici siano contrastanti e non si abbia la certezza di una diagnosi differenziale si possono ap­plicare tecniche speciali quali la immunoistochimica e la microscopia elettronica (Tab. l)

 

C. URINE

 

Ne vanno raccolti possibilmente non meno di 50 cc in recipiente contenente circa cc 20 di formalina al 10%. In pratica, si faccia minare il Paziente in un vaso dove sarà messa già prima un po' di formalina al 10%. Si tenga presente che per l'indagine citodiagnostica non serve raccogliere ed inviare "le urine delle 24 ore"! Se siete vicini al laboratorio di anatomia patologica, potete inviare anche urine fresche, senza fissativo.

 

Versamenti ed urine, come pure liquidi di lavaggio, potranno così essere congruamente trattati nellaborato­rio anatomoistocitopatologico, ove si procederà alla lo­ro centrifugazione , al fissaggio del sedimento, alla sua inclusione, affettatura e colorazione nel modo del tutto analogo ad un campioncino solido. Sarà solo 1'anato­mopatologo a decidere se, di fronte a troppo esiguo se­dimento corpuscolato, sarà il caso di allestire degli stri­sci piuttosto che procedere all'inclusione.

La citologia urinaria può presentare difficoltà inter­pretative specie in assenza di adeguate informazioni cliniche. L'urina emessa spontaneamente è meno ricca di cellule uroteliali di quella ottenuta tramite cateteri­smo o lavaggio. Normalmente si rinvengono cellule di dimensioni variabili, di forma ovalare o allungata, con citoplasma abbondante, spesso vacuolizzato per feno­meni degenerati vi. Caratteristiche sono le cellule ad ombrello multinucleate di derivazione vescicale e/o ureterale. Nei processi infiammatori del basso tratto urinario compaiono emazie, aggregati di granulociti, macrofagi mono o plurinucleati (Fig. l0) e agenti infet­tivi batterici (Escherichia coli, Pseudomonas aerugino­sa) o micotici (Candida Albicans). Caratteristiche sono alcune alterazione citopatiche da infezioni virali co­me il citomegalovirus (inclusioni citoplasmatiche e/o nucleari con alone), da herpes simplex (epiteli multinu­cleati e nuclei a vetro smerigliato), da polioma (inclu­sioni nucleari singole e omogenee, nucleo vuoto con grossi cromocentri di aspetto pseudomaligno), papillo­ma virus ( coilocitosi di epiteli uretrali). Fra le parassi­tosi ricordiamo il trichomonas vaginalis e lo Schistoso­ma haematobium. Quest'ultima infestazione è frequen­te in soggetti provenienti dall' Africa e in particolare dall'Egitto ed è non di rado associata con il carcinoma della vescica.

Per quanto riguarda i tumori vescicali possiamo di­stinguere tre gruppi principali:

. tumori uroteliali (papillari e non papillari,Fig. 11-12),

. tumori squamosi,

. tumori ghiandolari simil-enterici.

Le atipie delle cellule uroteliali possono essere di grado lieve (nucleo rotondo con lieve ipercromasia) o di grado marcato (cellule con citoplasma irregolare e nucleo fortemente ipercromico). Particolarmente im­portante è la diagnosi citologica urinaria per il carcino­ma uroteliale non papillare in situ e nel follow-up di paziente già trattati per neoplasie uroteliali papillari. Nel carcinoma invasivo le atipie cellulari sono in gene­re associate alla presenza di segni infiammatori e/o di necrosi cellulare. Adeguate notizie cliniche permette­ranno di evitare grossolani errori interpretati vi nella va­lutazione di urine ottenute da vescica ileale (Fig. 13) o da soggetti radio e/o chemiotrattati.

Recentemente si utilizzano sistemi di screening auto­matizzati interattivi (PAPNET) di campioni urinari ana­. logamente a quanto effettuato in citologia ginecologica cervico-vaginale per i buoni risultati ottenuti nella dia­gnosi differenziale con le pseudoatipie re attive e/o in­fiammatorie.

 

D. ESCREATO e "BAL"

 

È utile quello emesso al risveglio mattutino. Prima di raccoglierlo: far sciacquare abbondantemente la boc­ca con acqua fresca, possibilmente gargarizzando; non far lavare i denti con dentrificio o colluttori; non som­ministrare cibi, né bevande, salvo, se gradita, una tazza di thè. Far giacere il paziente per un po' (qualche ora se è possibile) sul lato opposto a quello in cui si sospetta la neoplasia polmonare per facilitarne il deflusso delle secrezioni in trachea. Invitare quindi il Paziente ad espettorare direttamente nel recipiente contenente il li­quido di Dubosq-Brazil. È consigliabile far esaminare l'escreato per almeno 3 mattine consecutive. Si ten­ga presente che, in casi di insufficiente secrezione bronchiale spontanea, è possibile indurre adeguata espettorazione previa inalazione aerosolica di una solu­zione di glicole propilenico al 15-20% in soluzione sa­lina al 15%.

La citologia dell' espettorato viene utilizzata per con­fermare il sospetto di neoplasia o per accertare l'istoti­po del tumore per un più efficace programma terapeuti­co. Non è proponibile uno screening di popolazione se non per soggetti particolarmente a rischio (lavoratori in miniere di uranio o operai esposti a fumi tossici per presenza di nichel, cromo cobalto, ecc).

Le cellule nell'espettorato si conservano anche per 10-12 ore senza fissazione e derivano dal cavo orale (elementi piatti), dalla mucosa tracheo-bronchiale (ele­menti cilindrici, cellule caliciformi mucipare) , La pre­senza di macrofagi alveolari è inoltre indice di adeguatezza del campione. Fra le componenti non cellulari dell' espettorato ricordiamo le spirali di Curschmann (muco addensato in spirali basofile Pas-positive), i cor­pi dell'asbesto (strutture fibrose incrostate di calcio), i cristalli ottagonali di Charcot-Leyden di derivazione dagli eosinofili, microbi vari e sostanze di contamina­zione del cavo orale (vegetali, cellulosa, ecc.).

Il carcinoma epidermoide broncogeno è caratteriz­zato dalla presenza di elementi a citoplasma intensa­mente orangiofilo o acidofilo, di forma allungata, a gi­rino o bizzarra, con aggregazioni a cipolla. Le cellule ombra (ghost celI) sono elementi neoplastici di un car­cinoma in necrosi che clinicamente simula un focolaio ascessuale (cancro-ascesso). Il nucleo delle cellule neo­plastiche è ipercromico o picnotico e non lascia ricono­scere una struttura della cromatina (Fig. 14). Nelle for­me meno differenziate le cellule sono più voluminose, a citoplasma basofilo e nucleo vescicoloso, talora ma­cronucleolato, di forma irregolare a grossi granuli cro­matinici alternati ad aree chiare. L'adenocarcinoma, per la sua più frequente localizzazione polmonare peri­ferica (scar-cancer), non viene facilmente diagnostica­to nell' espettorato e richiede l'utilizzo della agobiopsia percutanea TAC-guidata (Fig. 15). Più facile è il reperto del carcinoma bronchiolo-alveolare per l'aspetto tri­dimensionale degli aggregati cellulari, pattern papillare e la presenza nel citoplasma di vacuoli o granuli PAS­positivi. Caratteristico è il reperto del carcinoma a pic­cole cellule di derivazione dalle cellule di KiIltschitsky (microcitoma). Si tratta di elementi piccoli, riuniti in aggregati poco compatti o disposti in fila indiana con discreta anisocariosi, rapporto N/C invertito, cromatina a grosse zolle e micronucleoli. .

Una particolare metodica diagnostica citologica è quella che '"si effettua sul lavaggio bronchiolo-alveola­re (BAL) non tanto ai fini oncologici quanto per valu­tare alcune condizioni infiammatorie o reattive del polmone correlate ad infezioni, pneumoconiosi, a processi disimmunoreattive e ad alterazioni a far­maci (6). Il BAL viene eseguito con un broncoscopio flessibile in anestesia locale per l'introduzione nel bronco lobare di 100-300 mI di soluzione fisiologica che viene poi aspirata e inviata in Laboratorio. Quì, do­po filtrazione e centrifugazione, viene eseguita la valu­tazione citologica dello striscio contando il numero de­gli elementi presenti e le percentuali delle varie cellule (macrofagi, linfociti, neutrofili, eosinofili, plasmacellu­le, mastcellu1e ecc).

 

Dallo studio morfologico del BAL e da una succes­siva valutazione immunofenotipica delle cellule è pos­sibile ottenere informazioni utili che, correlate al qua­dro clinico e radiologico, permettono la diagnosi di va­rie condizioni patologiche:

. la prevalenza di macrofagi è caratteristica dei fu­matori,

. numerosi linfociti sono espressione di una alveoli­te allergica, da sarcoidosi, da tbc, reattiva a farma­ci, da BOOP, ecc.,

. un eccessivo numero di neutrofili depone per un processo di fibrosi polmonare idiopatica, di granu­lomatosi di Wegener, di ARDS, di infezione, ecc.,

. numerosi eosinofili sono espressione di una bron­copolmonite aspergillare, di una p.olmonite eosino­fila o di un processo allergico.

 

Importante è l'utilizzo immunoistochimico di anti­corpi monoclonali per evidenziare le sottopopolazioni linfocitarie presenti nel BAL. La sarcoidosi è associata ad una predominanza di cellule CD4 positive; la istio­citosi X è caratterizzata da cellule CDl positive (Lan­gherans cells) in percentuale alta (circa il 3% del tota­le);la tbc ha un normale rapporto fra CD4/CD8; la sili­cosi, la BOOP, l'alveolite da farmaci o da virus (HIV) hanno un ridotto rapporto CD4/CD8.. _

 

E. AGOASPIRATI E STRISCI VARI

 

Sempre più spesso il Medico ricorre all'allestimento di strisci quando pensa che un materiale fluido e di ben scarsa quantità possa fornire preziose informazioni. Se ne possono ottenere validi campioni da secreti o liquidi vari, ad es: ghiandole salivari, mammari, articolari, va­ginali, ascessuali, ecc., oppure dai sempre più frequenti campionamenti mediante aspirazione con ago sottile, o per spazzolamento (brushing) essendo ormai infatti ben conosciuta la possibilità di formulare diagnosi citologi­che molto accurate con tale metodica. Ai servizi di Anatomia Patologica vengono ormai riconosciuti am­bulatori dove il patologo effettua direttamente l'agospi­razione di masse palpabili. Infatti la conoscenza della clinica (anamnesi, reperto macroscopico, sintomatolo­gia, ecc.) e l'accuratezza del prelievo da parte di chi sarà poi il responsabile della lettura dei preparati cito­logici migliora notevolmente il risultato diagnostico.

La citologia agoaspirativa delle ghiandole salivari ad esempio permette di diagnosticare con buona preditti­vità i tumori più frequenti quali l'adenoma pleomorfo e il cistoadenolinfoma o tumore di Warthin tra i benigni e il carcinoma adenoidocistico o il carcinoma mucoepi­dermoide tra i maligni. Allo stesso modo è possibile diagnosticare le metastasi intra-parotidee o il linfoma parotideo primitivo.

Nella diagnostica delle lesioni mammarie ci si avva­le di tre tipi di -prelievo citologico a seconda che ci tro­viamo di fronte a secrezioni dal capezzolo, a lesioni cu­tanee o a noduli intraghiandolari.

Nelle secrezioni dal capezzolo è bene innanzitutto tenere a mente il differente significato che assume la secrezione ematica nella mammella maschile rispetto a quella femminile: nel maschio infatti una secrezione ematica dal capezzolo è molto frequentemente indice di una neoplasia maligna sotto stante, questo non è vali­do per la donna dove la stessa secrezione indica piùfrequentemente un papilloma dei dotti galattofori piut­tosto che un carcinoma. Ricordiamo che nel caso di se­crezioni ematiche è preferibile eseguire almeno quattro vetrini.

Un sempre crescente consenso tra i Medici ha trova­to la citologia agoaspirativa della mammella per la possibilità che essa offre di fornire diagnosi accurate, veloci ed a costi molto bassi. L'esame citologico viene praticato ambulatorialmente anche nelle lesioni non palpabili per le quali l'anatomopatologoed il radiologo eseguono in collaborazione l'indagine avvalendosi del­la guida eco grafica o stereotassica per il raggiungimen­to del nodo. La concordanza dell'esame clinico, ra­diologico (mammografico) e citologico sono in gene­re sufficientemente diagnostici. Occorre forse ribadi­re che la citologia agoaspirativa costituisce un vero e proprio atto diagnostico poiché viene eseguita su alte­razioni patologiche ben definite e non dovrebbe preve­dere pertanto la dizione generica di "negatività" (Fig. 16-18). Vi sono infatti lesioni flogistiche (mastiti, stea­tonecrosi), displastiche (mastopatia fibrocistica, adeno­si sclerosante, ecc), neoplastiche benigne (papillomi, fibroadenomi, tumore fillode ecc.) e maligne (carcino­ma dottale, lobulare , tumore fillode maligno, sarcomi, ecc.).

 

Gli aspetti citologici delle lesioni mammarie sono stati codificati: nota è ad esempio la "tripletta" diagno­stica del fibroadenoma costituita da frammenti di stro­ma, lembi di epiteti duttali a margini arrotondati e nu­clei nudi bipolari sul fondo (Fig. 16).

Tuttavia la grande diffusione della metodica ha evi­denziato non poche problematiche di fronte a reperti morfologicamente benigni ma clinicamente maligni e viceversa. Ad esempio:

. le piccole cellule isolate del carcinoma lobulare pos­sono essere sottovalutate o non riconosciute quando associate ad una lesione benigna prevalente;

. gli aggregati regolari e ben differenziati del carcino­ma tubulare confusi con un processo benigno iper­plasico;

. atipie cellulari del fibroadenoma possono far correre il rischio di un falso positivo, specie in donne anzia­ne o in gravidanza;

. una precedente radioterapia può indurre atipie cito­logiche sopravalutate in pazienti considerati a ri­schio;

. alterazioni iperplasiche complesse con quadri mam­mografici sospetti possono indurre ad errate conclu­sioni di malignità;

. cellule apocrine metaplasiche e degenerate possono simulare elementi atipici;

. necrosi ed infiammazione sono condizioni comuni a tumori e a comedomastiti e steatonecrosi a cui si as­sociano atipie epiteliali reattive.

 

È previsto uno screening mammario in pazienti "asintomatiche" mediante mammografia. In questi ca­si è possibile evidenziare lesioni (microcalcificazioni irregolari, deformazioni strutturali, ecc.) anche molto piccole (1-3 mm) e decidere per un' eventuale citologia con guida stereotassica seguita dall' asportazione della zona sospetta per il controllo istologico. In donne in­vece "sintomatiche" per mastopatia fibrocistica o no­duli vari, il reperto mammografico è molto meno sensi­bile (2). In queste condizioni l'interpretazione mammo­grafica è spesso controversa e pone dubbi nella diagno­si differenziale fra un fibroadenoma e un carcinoma midollare, o fra un carcinoma infiltrante a cellule di­sperse e proliferazioni epiteliosiche benigne con sclero­si stromale.

 

Anche l'atto del prelievo è un momento impor­tante e può facilitare il giudizio finale. È bene che il medico tenga in considerazione la sensazione che si av­verte nel momento della penetrazione dell' ago nel no­dulo da indagare, specie se il prelievo viene eseguito solo con l'ago, senza aspirazione. Un nodulo soffice è compatibile con fibroadenoma o con un carcinoma mi­dollare e/o mucoide. La resistenza gommosa orienta per la mastopatia fibrocistica ma non esclude il carci­noma o il fibroadenoma. La percezione dell'ago che stride nella lesione può deporre per un carcinoma con sclerosi e calcificazione ma anche per un vecchio fi­broadenoma o per una adenosi sclerosante benigna. Questi dati vanno pertanto opportunamente comparati con il reperto citologico. Nei casi in cui vi sia scarsa cellularità o il prelievo risulti eccessivamente ematico, è utile ricorrere alla "core biopsy", cioé ad un prelievo mirato eseguito con ago tranciante per lo studio istolo­gico dopo inclusione.

Le complicanze dell'agospirato mammario sono rare tranne forse per la formazione di un ematoma che può essere prevenuto con adeguata compressione dopo il prelievo. Ormai esclusa l'eventualità di diffusione mediante il tramite dell'ago, l'unica vera complicanza rimane il pneumotorace che può verificarsi quando si debbano pungere noduli in vicinanza delle coste e l'ago attraversi il muscolo intercostale e la pleura.

Il ruolo più importante nella diagnosi citologica della mammella è la decisione fra lesione benigna e maligna. Tale differenza ha conseguenze cliniche drammatiche ed è bene che il chirurgo sia consapevole che vi sono condizioni in cui questa decisione è decisa­mente difficile. Vi sono minime differenze fra alcune lesioni iperplastiche fibroadenomatose benigne e il car­cinoma dottale ben differenziato o fra il cosiddetto fi­broadenoma atipico e il carcinoma mammario. Alla abilità ed esperienza del patologo deve corrispondere sempre una costante prudenza da parte del chirurgo nell'attuare mastectomie di casi con aspetti clinici, mammografici e citologici contrastanti. Si ricordi che dopo la valutazione citologica è sempre possibile ricor­rere alla diagnosi intraoperatoria con l'uso del criostato o, in casi meno sospetti, alla tumorectomia e/o alla bio­psia escissionale per un successivo accertamento isto­logico.

 

Anche per l'agoaspirazione Eco o Tac-guidata è molto utile la presenza del patologo al prelievo citolo­gico per la valutazione immediata del campione anche solo in termini di adeguatezza del campionamento. È .

infatti una pratica ormai diffusa quella di effettuare co­lorazioni "rapide" subito dopo il prelievo o il controllo con il microscopio a contrasto di fase al fine di ridurre al minimo i campionamenti inadeguati o insufficienti (cosiddetta "cito-assistenza"). Nei casi in cui non sia praticabile questa collaborazione, se possibile sarà be­ne allestire almeno un paio di vetrini in ogni caso. Tali strisci vanno subito immersi in alcool etilico 95°, prima che si asciughino all'aria. E non venga in mente al cli­nico di "fissarli" alla fiamma. Nell' alcool 95° i vetrini con gli strisci debbono rimanere almeno mezz'ora, sino ad un giorno un giorno e mezzo, dopodiché vanno asciugati all'aria ed inviati al laboratorio anatomoisto­citopatologico. Siglateli bene, per favore. Non crediate di essere solo voi a mandare strisci nei nostri laborato­ri. In alternativa all' alcool etilico 95° può essere usato (sempre sul vetrino" fresco") lo spray Citofix, o simili. Personalmente consigliamo quest'ultimo metodo inve­ce dell'alcool. Quando il vetrino risulta poi disseccato può essere inviato al Laboratorio.

Per alcuni organi come ad esempio la tiroide è buona norma allestire alcuni vetrini non fissati ma lasciati ad asciugare all' aria. In questo caso la colorazione che verrà effettuata in laboratorio sarà il May Grunwald Giemsa. Questa colorazione, nata per lo studio dei pre­parati ematologici, è molto diffusa tra i citopatologi per alcune piccole differenze rispetto al Papanicolaou che possono risultare utili nell'interpretazioni di alcune pa­tologie e della valutazione del materiale di "fondo"che accompagna la componente cellulare. La differenza principale è quella che le cellule, lasciate essiccare all'aria, non sono coartate dai fissativi e pertanto alcu­ne strutture 'citoplasmatiche (granuli metacromatici, microvacuoli, ecc) risultano meglio evidenti. Cellule particolarmente delicate come quelle della linea semi­naIe o della serie linfoide risultano infatti molto meglio conservate con questa metodica.

In ogni caso la scelta della colorazione è in genere lasciata alla preferenza e all'esperienza del patologo. A nostro avviso i linfonodi, il testicolo, il fegato, la tiroi­de, le ghiandole salivari sono organi che ben si presta­no allo studio con questa colorazione. In tutti casi èsempre preferibile eseguire la doppia metodica di fissa­zione (in alcool e all'aria) per avere strisci che si inte­grano utilmente ai fini della interpretazione diagnostica citologica.

 

Un organo che ben si presta allo studio citologico mediante FNAB è il fegato. Le lesioni bersaglio ven­gono in genere individuate con l'ecografia, o con la TAC o con la RMN. La guida più efficace per la mano­vra agoaspirativa è comunque l'ecografia poiché per­mette di seguire il tragitto dell'ago durante la manovra, controllando gli spostamenti dell' organo durante i pic­coli movimenti respiratori. Gli aghi che vengono usati a tale scopo sono aghi particolari, visibili con l' eco­grafo, muniti di mandrino. Praticamente dopo che l'ecografista ha individuato l'area ecograficamente so­spetta individua la traiettoria che l'ago percorrerà e la distanza della lesione dalla cute. A questo punto, con l'aiuto del patologo, conficca l'ago sottile per via tran­scutanea (senza previa anestesia locale). Dopo che èstata controllata eco graficamente la posizione della punta dell' ago viene estratto il mandrino e praticata 1'agoaspirazione. In questo modo si evitano contamina­zioni del materiale raccolto con gli altri tessuti attraver­sati dall'ago. La manovra dura complessivamente circa venti secondi durante i quali si invita il paziente a trat­tenere il respiro. L'agoaspirazione epatica ha come sco­po essenziale la valutazione di lesioni neoplastiche, pri­mitive o secondarie, benigne o maligne.

È importante che il patologo conosca esattamente 1'anamnesi del paziente, così come tutte le notizie che possano essergli utili per 1'esatto inquadramento della lesione epatica. Queste notizie condizioneranno even­tualmente anche la scelta della colorazione che egli adotterà in quella circostanza.

 

Sulla base morfologica è possibile diagnosticare con sufficiente certezza la maggior parte delle metastasi epatiche, così come gli epatocarcinomi. Più difficile è la diagnosi differenziale fra colangiocarcinoma e meta­stasi di adenocarcinoma. Abbastanza agevole è la dia­gnosi di epatocarcinoma moderatamente e scarsamente differenziato mentre per gli epatocarcinomi ben diffe­renziati occorre attenersi ad alcuni criteri importanti di diagnosi differenziale con gli adenomi, le iperplasie nodulari focali ed i noduli rigenerativi della cirrosi (Fig. 19-22).

Possiamo essere sufficientemente certi della diagnosi di epatocarcinoma ben differenziato quando troviamo nel preparato i seguenti caratteri:

. alta cellularità,

. arrangiamento degli epatociti in trabecole caricatu­rali o in pseudoghiandole,

. monomorfismo cellulare,

. rapporto N/C sfavorevole,

. macronuc1eoli.

I caratteri sopraelencati sono necessari e da soli suf­ficienti per porre la diagnosi di epatocarcinoma. Vi so­no altri caratteri, che possiamo definire secondari, che non sono sempre presenti e da soli non sono diagnosti­ci di epatocarcinoma. Questi sono: i trombi biliari, le strutture papillari circondate da cellule di Kupffer, i nu­clei nudi, le pseudoinclusioni nucleari.

In questi ultimi anni la diagnosi agoaspirativa della tiroide, sempre più associata alla guida eco grafica e a varie indagini ormonali di laboratorio (T3,T4,TSH. cal­citonina), ha contribuito a migliorare notevolmente le nostre conoscenze sulla natura dei noduli tifOidei prima di affrontare un eventuale intervento chirurgico. Se si effettua una metodica corretta i falsi negativi non supe­rano il 5%. Diagnosi citologiche dubbie o sospette ri­guardano reperti relativi a:

. adenoma atipico,

. adenoma trabecolare ialinizzante,

. carcinoma follicolare ben differenziato.

In citologia tiroidea l'accuratezza diagnostica dei noduli freddi dipende dal grado di esperienza del patologo (11). Il carcinoma papillare (Fig. 23), il midollare (Fig. 24-25-26) e 1'anaplastico sono dia­gnosticabili in una altissima percentuale di casi sul­la base delle sottoindicate atipie citologiche:

. irregolarità del contorno della membrana nucleare con presenza di profonde incisure ("nuclear groo­ves"),

. pseudoinclusioni nucleari,

. nucleolo voluminoso,

. granuli metacromatici intracitoplasmatici,

. positività alla calcitonina e/o alla tireoglobulina.

Anche 1'aspetto dello sfondo dello striscio può dare utili indicazioni diagnostiche sulla natura del nodulo tifOideo: . . colloide densa a"corda sfilacciata " o a chewing­ gum,

. microcalcificazioni e corpi psammomatosi,

. eccesso di sangue,

. amiloide.

 

Molto importante è anche il pattern di aggregazione cellulare dei frustoli aspirati che possono assumere vario aspetto:

. a microfollicoli isolati,

. ad aggregati più voluminosi mono o polistratificati, . poco coesivi con prevalenza di elementi dispersi di grandezza e forma variabile.

Anche organi di piccole dimensioni come le parati­roidi, che vengono generalmente considerate non facil­mente raggiungibili con 1'agoaspirazione, possono es­sere utilmente indagate con la citologia se eseguita con guida ecografica. Tale metodica si attua in soggetti af­fetti da iperparatiroidismo primario e quando il clinico ritiene necessario asportare una o più paratiroidi che vanno indagate e localizzate prima dell'inter­vento operatorio. La patologia paratiroidea è da attri­buire nell'80-85% dei casi all'adenoma, nel 12-15% ad una iperplasia e solo nel 1-3% dei casi ad un carcino­ma. La citologia preoperatoria viene eseguita su lesioni clinicamente sospette con caratteri scintigrafici dubbi o in presenza di alterazioni ecografiche multiple in sede ectopica intra o extratiroidea. Lo scopo principale della valutazione citologica della paratiroide è pertanto quel­lo di confermare la sede su cui intervenire. Per quanto riguarda la diagnosi differenziale con le cellule tifOidee (tiroide) o con i linfociti (linfonodo) è utile associare sempre l'indagine cito-immunoisochimica (Fig. 27-28). La diagnosi differenziale fra l'adenoma, l'iperplasia o il carcinoma è un problema anatomo-clinico e istologi­co che si porrà al momento dell'intervento chirurgico, non essendo la citologia in questo senso sufficiente­mente attendibile (12).

 

La cito diagnostica agoaspirativa del testicolo è una metodica semplice, priva di complicanze e utile per ottenere rapide informazioni circa la natura benigna o maligna di masse palpabili o eco graficamente rileva­bili (13). Tuttavia la gran parte degli urologi è ancora riluttante nell' applicare la FNAB ai noduli del testicolo poiché ritiene sufficiente la valutazione clinica per de­cidere sulla necessità di una esplorazione chirurgica che termina quasi sempre con l'orchiectomia. Il motivo che frena l'urologo nell'uso della FNAB testicolare è il timore di un' estensione della neoplasia alla cute dello scroto.

Particolarmente importante per la semplicità di ese­cuzione e la completa assenza di complicanze è lo stu­dio cito logico del testicolo nell'identificazione delle cause di infertilità maschile da criptospermia, asteno­spermia o scarso numero di spermatozoi. La valutazio­ne citologica delle varie cellule del tubulo seminifero èsemplice ed è possibile ottenere dati sul rapporto fra gli elementi seminaI i e le cellule del Sertoli e fra le variecellule della linea seminaI e (spermatogoni, spermatociti di I e II ordine, spermatidi, spermatozoi). È così possi­bile diagnosticare "blocchi escretori" da ostruzione con­genita e/o acquisita delle vie di deflusso o dare indica­zioni sul grado di arresto maturativo o di ipospermato­genesi per un'eventuale terapia ormonale (Fig. 29-30).

 

I vantaggi che derivano dalla FNAB del testicolo possono essere così riassunti:

. determinazione della spermatogenesi nell'infertilità . identificazione di neoplasie iniziali;

. indicazioni per la scelta di intervento chirurgico;

. diagnosi di processo infiammatorio;

. diagnosi di neoplasia che richieda un intervento chi­rurgico immediato (malignità) o differita (beni­gnità).

. Suggerimento per la ricerca di markers tumorali (HCG, APP, CEA).

 

F. CITOLOGIA GINECOLOGICA

 

È ormai nota da tempo l'utilità del prelievo citologi­co nell'ambito della ginecologia. Il prelievo citologico cervico-vaginale (Pap-test) è divenuto il metodo di screening più diffuso per la diagnosi precoce delle le­sioni precancerose e neoplastiche del tratto genitale femminile. Qltre al suo utilizzo in ambito oncologico, ricordiamo il suo valore nella determinazione dello sta­to ormonale in diverse situazioni.

Il prelievo citologico si esegue prelevando materiale dalla endocervice, dalla esocervice e dal fornice vagi­naIe laterale. Per il prelievo si usa la spatola di Ayre ed un bastoncino cotonato od un cytobrush per la endocer­vice. Il materiale si striscia su un vetrino con estremità smerigliata, sulla quale è stato preventivamente segna­to il cognome e nome della paziente, mantenendo sepa­rati i tre settori. Alcuni ginecologi utilizzano un vetrino differente per il prelievo endocervicale, così da dare più spazio alla valutazione della giunzione squamo-co­lonnare che è la zona di insorgenza della più gran parte dei carcinomi squamosi. Subito dopo che il materiale è stato strisciato si provvede alla fissazione tramite im­mersione in alcool o con l'uso di fissativi a getto.

Uno striscio è considerato inadeguato quando: . è assente materiale della zona squamo-colonnare; . per eccesso di citolisi, di cellule infiammatorie o di

sangue;

. per scarsa cellularità (valutata al Papnet a meno del

35%).

Le ragioni tecniche per un campionamento inade­

guato possono derivare da: . prelievo in fase mestruale . contaminazione con creme vaginali (spermicidi, lu­

brificanti per ecografie, ecc.); . prelievi troppo spessi o mal fissati; . striscio lasciato seccare prima della fissazione.

Con la determinazione del ruolo cancerogeno del­l'Human Papilloma virus (HPV), anche la refertazione del Pap-test è radicalmente cambiata nel tempo. Si è passati dal concetto di displasia (lieve, media e grave), come lesione preneoplastica, a quello di Neoplasia In­traepiteliale Cervicale (CIN 1,2,3) che riconosceva a tutti i gradi di displasia un potenziale valore neoplasti­co. Più recentemente, si è adottata la terminologia "Le­sione Squamosa Intraepiteliale" ( SIL) che prevede due sole categorie: basso ed alto grado, attribuendo però sicuro valore preneoplastico solo al SIL di alto grado secondo il sistema Bethesda (Fig. 31-40). Infatti, l'identificazione di numerosi sottotipi di HPV con po­tenzialità oncogene differenti, a basso rischio (HPV ti­po 6-11) o ad alto rischio (HPV tipo 16-18) ha modifi­cato l'interpretazione attribuita al SIL di basso grado che assume valore preneoplastico solo se associato a HPV ad alto rischio. Per questo motivo la corrispon­denza fra tipi di HPV e SIL può essere controllata in singoli casi clinici mediante metodi di biologia mo1e­colare effettuati su prelievi freschi o su materiale di ar­chivio cito logico e/o istologico.

È interessante notare che il Bethesda (BTS) introdu­ce alcuni concetti nuovi, primo tra tutti la valutazione dell'adeguatezza del materiale da parte del patologo. Un'altra importante innovazione è l'inserimento imme­diato del Pap-test in una delle tre categorie:

. entro i limiti di norma,

. con alterazioni cellulari benigne,

. con anomalie di cellule epiteliali squamose o ghiandolari.

 

Un altro nuovo elemento della scheda sec. BTS è l'introduzione della voce: cellule squamose atipiche di significato indeterminato (ASCUS). In realtà que­sta categoria ha portato con sé dei vantaggi e degli svantaggi in quanto se da una parte facilita la classifi­cazione di alcune atipie cellulari non ancora inquadra­bili come displasia, dall'altra rischia di diventare un enorme recipiente di incertezze (7).

La citologia endometriale è una citologia non di screening che viene eseguita su donne a rischio o sinto­matiche ed in queste ultime necessita della conferma istologica su prelievo bioptico. Per il campionamento diretto dell'endometrio vengono utilizzate diverse son­de fra cui ricordiamo l'Endocyte di vario calibro, la MI-Mark elice, l'Endopap e la sonda di Novak per pre­lievi istologici. La citologia endometria1e sta tuttavia assumendo recentemente una maggiore importanza in relazione al significativo aumento del carcinoma endo­metri aIe dopo i 45 anni a causa di una maggiore longe­vità della donna, all'uso di estrogeni in epoca perime­nopausale e postmenopausale, specie se a rischio (dia­bete, obesità, ipertensione, familiarità, ecc.). Lo scopo principale è quello di riconoscere e curare le iperplasie endometriali correlate alla forma più comune di carci­noma dell' endometrio quale il carcinoma endome­trioide.

I metodi di valutazione citologìca dell'endometrio sono:

 

. Pap-test;

. Strisci di campionamento endometriale diretto;

. "CelI block" di materiale endocavitario per esame dell'incluso.

 

La citologia endometriale ha in realtà limiti maggiori di quella cervicale e viene generalmente considerata di valore diagnostico non definitivo. Tuttavia, il Pap-test in donne anziane può contribuire al riconoscimento di adenocarcinomi endometriali, specie se non correlati ad una stimolazione estrogenica. D'altra parte per la necessità clinica di una precoce valutazione clinico-ci­tologica del carcinoma endometrioide e dei suoi pre­cursori il ginecologo tende sempre più a ricorrere alla semplice citologia per innegabili vantaggi di costo, di tempo e di minor disturbo per le pazienti.

In condizioni ottimali un citopatologo esperto può ri­conoscere agevolmente gli aspetti isto-funzionali deter­minati dagli ormoni follicolinico e luteinico, le modifi­cazioni indotte dalla iperplasia semplice o atipica e l'adenocarcinoma (Fig. 41-44). Tuttavia sussistono al­cune difficoltà interpretati ve della citologia endome­triale, specie in assenza di adeguate notizie cliniche o di una agevole consultazione con il ginecologo. Per questi motivi il patologo ritiene in genere più affidabile il reperto istologico.

Ricorderemo che per la valutazione dell' endometrio su strisci, analogamento a quanto sostenuto per l'istolo­gia, i criteri maggiori di diagnosi si basano sull'archi­tettura dei lembi epiteliali e sulla reazione stromale che si riflette sulle caratteristiche del fondo dello striscio e sulla componente non epiteliale (cellule istiocito-simili superficiali e cellule fibrocito-simili profonde). I carat­teri cito logici sono paradossalmente criteri minori e, talvolta, complicano il giudizio diagnostico.

 

I criteri diagnostici per la diagnosi citologica su stri­sci dell'endometrio sono:

. architettura dei lembi epiteliali (clusters ghiandolari di dimensioni vari bili, tubuli di forma irregolare, presenza di papille e strutture arborescenti);

. diatesi tumorale rappresentata da segni di infiamma­zione e necrosi (aggregati di granulociti-istiociti ed epiteli disfatti, nuclei chiarificati, con membrana nucleare ispessita, macronucleoli, sfondo ematico con detriti cellulari);

. caratteristiche delle cellule stromali (cellule superficiali dello stroma endometriale a fisionomia simil­ istiocitaria e cellule simil-fibrocitarie profonde);

. atipie, polistratificazione, mitosi e necrosi degli epi­teli ghiandolari;

. correlazioni clinico-citologiche (età, ultima me­struazione, uso di ormoni, IOD, pregressa revisione strumentale).

I più frequenti problemi diagnostici in citologia endometriale ("pitfalls") derivano dalla seguenti con­dizioni patologiche:

. "atipie" cellulari (AGOS) reattive a endometrite tbc e/o post-curettage ;

. clusters di adenocarcinoma ben differenziato con scarse atipie;

. aggregati papillari in endometrio follicolinico;

. adenocarcinoma endometrioide endocervicale;

. metastasi endometriale di adenocarcinoma extra­ uterino;

.. atipie di cellule stromali che simulano un linfoma.

A nostro avviso assai utile si è dimostrato lo studio interattivo con il Papnet per la possibilità di comparare contemporaneamente sullo schermo i campi selezionati nello striscio con gJi aggregati ghiandolari o simil­ghiandolari individuati dalla scansione automatica (lO).

 

G. BIOLOGIA MOLECOLARE E CITOLOGIA DIAGNOSTICA

 

La trasformazione neoplastica si ritiene sia dovuta ad alterazioni di geni oncogeni e geni oncosoppressori che intervengono nel regolare le varie fasi della pro­gressione di lesioni precancerose. Nelle neoplasie della cervice uterina l'alterazione dei geni cellulari si verifi­ca spesso dall'interazione del DNA della cellula con il DNA di agenti virali (HPV, HSV II). Si riconoscono peraltro numerosi tipi sierologici di HPV e di questi so­lo alcuni (HPV tipo 16,18,31,33,51) contribuiscono a favorire un disordine genico della cellula senza tuttavia determinare significative differenze morfologiche con gli altri tipi virali non oncogeni. Al fine di indicare al clinico il rischio di tale progressione sono state utiliz­zate tecniche molecolari applicate a materiale citologi­co appena prelevato, opportunamente fissato o anche d'archivio (3). L'applicazione delle tecniche di biologia molecolare allo studio dei tumori ha portato nuove co­noscenze nel campo del processo neoplastico soprattut­to nella valutazione di quelle mutazioni (alterazioni an­che puntiformi del DNA o perdite di eterozigosi in ge­ni) che intervengono nelle prime fasi dell'alterazione cellulare. Il riconoscere queste alterazioni cellulari è un importante riferimento per la prognosi e quindi anche per la terapia che il clinico dovrà mettere in atto in que­sta fase molto prècoce della progressione neoplastica. Le tecniche utilizzate a questo scopo sono la PCR (Polymerase Chain Reaction) e la Ibridizzazione in situ. Negli strisci cito logici del collo dell'utero la PCR o la ibridizzazione in situ, vengono particolarmente usate in soggetti con lesioni condilomatose persistenti, reci­divanti, o particolarmente attive ad alto rischio per una progressione neoplastica (SIL di alto grado). Questi metodi si effettuano sempre più frequentemente in un moderno laboratorio di anatomia patologica per la faci­lità di applicazione ed a l'alta sensibilità diagnostica. La ibridizzazione in situ, pur avendo una sensibilità meno alta della PCR ha tuttavia il vantaggio di indicare il numero e il tipo di cellule che presentano l'acido nu­cleico in esame. D'altra parte, la più alta sensibilitàdella PCR richiede una particolare attenzione di esecu­zione per l'altissimo rischio di contaminazione.

Le applicazioni diagnostiche della PCR sono nume­rose e riguardano l'accertamento nei tessuti e cellule del DNA anc4e di altri virus ( EBV, CMV, ecc), di bat­teri (micobatteri, helicobacter 'pylori, ecc.) o la diagnosi di malattie geniche ereditarie (distrofia muscolare di Erb-Duchenne, fibrosi cistica pancreatica, ecc.), nella caratterizzazione di processi linfoproliferativi di signi­ficato incerto, per la identificazione di cloni neoplastici di cellule B o T ed infine in campo medico-legale.

 

H. BIOPSIE - ESTEMPORANEE

 

Il Chirurgo moderno sa utilizzare sempre di più la collaborazione dell' anatomo-patologo per la diagnosi istopatologica nel corso di interventi chirurgici. È que­sta la biopsia intraoperatoria, o peroperatoria, od estemporanea, o per congelamento, su cui si riesce a formulare la diagnosi in 5-10 minuti.

Compito dell'anatomopatologo è quello di applicare le necessarie metodiche con attrezzature adeguate per una rapida e attendibile diagnosi istologica. Il medico richiedente e il personale presente in sala chirurgica de­vono attenersi alle seguenti raccomandazioni:

1) Il campione prelevato dal chirurgo, specialmente se di piccole dimensioni, va posto fra due garze imbe­vute di soluzione fisiologica e recapitato con urgenza in laboratorio.

2) Assieme al campione da esaminare va allegato il regolamentare modulo di richiesta, possibilmente con l'indicazione del quesito clinico e del numero telefoni­co della sala operatoria cui va data la risposta.

 

I. RACCOMANDAZIONI FONDAMENTALI

 

Non sognatevi mai che l'anatomopatologo possa in­dividuare, schedare ed eventualmente rireperire a di­stanza di tempo il Paziente cui appartiene quel dato prelievo inviato dal Medico, se qualunque prelievo non è accompagnato da un regolare modulo di richiesta d'esame. Per sottolineare quali siano gli elementi utili all' anatomopatologo viene più oltre riprodotto il facsi­mile di uno di tali moduli. E, quando il vostro blocco di moduli sta per esaurirsi, organizzatevi per tempo a ri­chiederne di nuovi!

Attenzione! La compilazione del modulo è l'opera­zione in cui più spesso si commettono errori per di­stratta lettura di quanto richiesto a stampa o per impre­cisa scrittura. Tenete presente che Voi avete dinnanzi tutto il Paziente, mentre all'anatomopatologo ne arriva di solito un solo pezzettino!

Nel modulo riportato compaiono alcuni particolari di essenziale importanza.

l) Le indicazioni del COGNOME TUTTO IN STAMPATELLO, mentre il Nome deve essere scritto con la sola iniziale maiuscola. È frequente nel Centro­Meridione d'Italia un cognome che sembra un nome (ad esempio Armando, Rosa, Bruna,...). E, se non siete precisi Voi, noi cosa possiamo registrare?

2) È indispensabile la esatta indicazione del sesso (il che non è sempre intuibile dal nome). Cosa si direb­be di un Elia (è il nome del Profeta, o è il femminile di Elio?). Che sesso attribuire ad Andrea, che per noi è abbastanza inequivocabile, ma che per molti Americani è femminile? E il campione mammario di Aiace che apparteneva alla signora di nome Aiace! Non parliamo poi di certi Nomi e COGNOMI stranieri.

3) Data di nascita. Non indicate mai l'età! Questa cambia ogni anno e non c'è barba di computer che, del­lo stesso Paziente, ri-biopsiato ad esempio a distanza di due anni, dica che si tratta dello stesso soggetto alI or­ché di questo Paziente vengano indicate per forza due età differenti.

4) Assieme alla sede anatomica del prelievo siate sempre precisi nello specificare se destro ( D e non dx) o sinistro (S e non sx; la x non chiarisce nulla), supe­riore od inferiore, mediale o laterale, ecc. E la grafia di "superiore" od "inferiore". Abbiate la bontà di conside­rare che quasi sempre Voi richiedenti scrivete a mano libera, mentre l'anatomopatologo vi risponde con un dattiloscritto.

5) Fra le notizie e quesiti eventuali sappiate speci­

ficare se, ad esempio, illinfonodo che inviate è l'unico ritenuto patologico o se invece esiste una poliadenopa­tia; oppure, se inviate per un raschiamento endometria­le e indicate la data dell'ultima mestruazione, non di­menticatevi poi di scrivere la data del prelievo!

6) Per chi esercita in un reparto di nosocomio, appe­na ricevete dall'anatomopatologo i moduli di richieste fateli timbrare con l'indicazione del Vostro reparto (laddove c'è lo spazio con l'indicazione a stampa Mit­tente). È bene infine che il medico richiedente, oltre a firmare il modulo con una sigla difficilmente interpre­tabile, apponga anche un timbro con il proprio nome, in modo da poter essere facilmente contattato dal pato­logo per eventuali necessità diagnostiche.

7) Nell' esercizio della professione medica e con specifico riguardo alla anatomia patologica emergono talora alcuni problemi deontologici di grossa portata, la cui sottovalutazione è spesso fonte di spiacevoli at­triti e perdite di tempo:

richiesta di diagnosi "addomesticata" da mostrarsi

. al Paziente. Non esistono in proposito norme di leg­ge e ciascuno può liberamente comportarsi secondo "scienza e coscienza". L'anatomopatologo (se è d'accordo di rilasciare un falso a fin di bene) dovrà prudentemente siglare tale diagnosi in modo che qualunque sanitario ne abbia a prendere poi visione sia in grado di "ricevere il messaggio" che quella diagnosi non è quella vera. Si usa in genere siglare la diagnosi con le lettere aud (ad usum delphini), oppure rp (reperto per il paziente), od altro. Richie­sta del Medico e diagnosi "aud" vanno conservate nell'archivio anatomopatologico assieme alla dia­gnosi esatta.

consultazione di preparati istologici e quindi il

. controllo da parte di un altro anatomopatologo della diagnosi originariamente formulata. È questa un'evenienza possibile quando il Malato od i suoi familiari desiderano "sentire il parere anche di un altro specialista". Tale evenienza è assai più proba­bile quando il Paziente (magari a distanza di tempo dal prelievo bioptico sù cui è stata emessa la dia­gnosi originale) viene ricoverato di nuovo in altro nosocomio, dove gli usuali esami di laboratorio ed eventuali radiografie possono agevolmente essere ripetuti, ma dove, prima di "rimettere i ferri addosso al Malato" per fargli un'altra biopsia, si soprassiede opportunamente. Dall'archivio dei Servizi di Anato­mia patologica, ove i preparati istologici devono ve­nire conservati per lO anni a cura dell'anatomopato­logo, è quindi possibile prelevare e riesaminare tale materiale. È opportuno che la richiesta del medico curante sia stesa per iscritto su carta intestata e men­zioni specificatamente i seguenti punti: a. di essere

(o meno) in possesso della originaria diagnosi dell'anatomopatologo; b.che attesti la ragione che rende necessaria la consultazione; c. di impegnarsi a trasmettere al patologo consulente i preparati unita­mente alla diagnosi originale; c. di restituire i prepa­rati congiuntamente alla diagnosi scritta emessa dall' anatomopatologo consultato.

La pluriennale esperienza consiglia di rilasciare i preparati richiesti in consultazione assieme a fotocopia sia della diagnosi che della originale richiesta con cui il Curante aveva acco,mpagnato il campione da esamina­re. Troppe volte, infatti, accade di constatare a distanza di tempo incompletezze ed imprecisioni nelle originali richieste di esame e l'anatomopatologo non può ormai che essersi fidato di quanto a suo tempo scritto dal Me­dico. Il consulente, invece, è di solito molto più detta­gliatamente informato e, nella lettura dei preparati in esame, si trova in genere favorito.

Un ulteriore problema che periodicamente emerge: talora il Paziente avanza la pretesa (purtroppo in qual­che occasione avvallata da sorprendenti pareri di giure­consulti) che "ho pagato e quindi i preparati istologici sono miei e me li porto via assieme alle inclusioni". Perché questi gim:isti non consigliano ai Pazienti di far­si ridare anche dall' anatomopatologo i pezzi chirurgici che residuano alla campionatura per esame istologico? (Ad es.: mammella, stomaco, milza, crasso, tiroide, polmone, ecc.). Si sappia che il Paziente (o chi per es­so) paga per aver un' assistenza, una diagnosi, una pro­gnosi, una terapia, ma la archiviazione di preparati, in­clusioni e reperti è dovere dell'anatomopatologo. Do­vere che non può essere violato da alcun presunto dirit­to altrui. Tutte queste belle cose vanno ben conosciu­te da ogni Medico e deve essere sempre il curante e non l'anatomopatologo a spiegarle ai singoli utenti.

Di assai più rara evenienza, ma di non minore im­portanza deontologica, è il fatto che, su vetrini ricevuti in consultazione, si possa procedere ad impostare pub­blicazioni scientifiche. Ciò potrà soltanto avvenire die­tro espliciti accordi fra gli anatomopatologi interessati.

 

L. Il FENOMENO BIOLOGICO" MORTE"

 

Per quanto sia specifico compito della Medicina Le­gale l'indagare e descrivere i fenomeni connessi alla "morte" nel polimorfo capitolo della "tanatologia", sembra qui opportuno delineare almeno in sintesi quan­to compete alla Anatomia Patologica far presente dell' evento biologico morte.

L'antico concetto di morte quale scomparsa dei co­muni segni di attività vitale era ancorato a quanto oggi viene definito "diagnosi di morte cardiaca": arresto delle pulsazioni arteriose, arresto dei battiti cardiaci, arresto del respiro, scomparsa della reattività agli sti­moli, ecc. In base a questi rilevamenti ed a ciò che con maggiore esattezza è strumentalmente accertabile si può oggi vedere che esistono tre tappe evolutive del fe­nomeno morte. La prima manifestazione è quella della cosiddetta morte "relativa". Dura pochi minuti ed è praticamente diagnosticata da tutti coloro che assistono il morente. Se in questi pochi minuti però si mettono in atto particolari manovre di emergenza, eventualmente in Reparti specializzati e dotati di idonee apparecchia­ture, si è visto che in molti casi (embolie, sincopi, fol­gorazioni, ecc.) è pure possibile far regredire la sinto­matologia e riportare così l'intero organismo alle usuali condizioni di vita con eventuale totale recupero anato­mico e fisiologico. Trascorsi che siano però questi po­chi minuti iniziali, subentra la cosiddetta morte "inter­media" che non permette più in alcun modo il recupe­ro totale dell'individuo, ma che permette di evidenziare come molti elementi cellulari che lo costituiscono sia­no ancora in grado di sopravvivere e funzionare, così come si è dimostrato con la coltivazione dei tessuti umani in vitro o con il trapianto di interi organi da "do­natore" a "ricevitore". Questa morte intermedia ha la durata variabile da tessuto a tessuto e sfocia fatalmente per rintero individuo nella terza ed ultima fase: quella della morte "assoluta".

È quest'ultima la fase che porta alla progressiva de­gradazione biologica dell' organismo, reinserendo nella economia ambientale tutti i costituenti chimici dell'or­ganismo stesso. Le moderne tecnologie medico-biolo­giche hanno fatto sì che la diagnosi di morte possa, al­meno in alcuni casi particolari, essere accertata anche senza attendere le varie tappe della morte cardiaca. Si è visto infatti che soggetti irreparabilmente traumatizzati a livello del Sistema Nervoso Centrale, anche se artifi­ciosamente mantenuti "in vita" con peculiari accorgi­menti terapeutici (respirazione artificiale, elettro-stimo­lazione cardiaca, dialisi peritoneale, alimentazione pa­renterale, ecc.) non sono certo più in grado di riprende­re autonomamente una "vera" vita. È proprio in questi individui che si è visto che l'artificioso far sopravvive­re alcuni organi può costituire utile elemento di tra­pianto a favore di ammalati in cui la struttura o la fun­zione di quei determinati organi siano andate irrimedia­bilmente perdute.

In base alle moderne possibilità dei trapianti d'orga­no, quindi, è insorta la necessità di porre una diagnosi di morte più tempestiva ed affidabile che non quella di morte cardiaca (troppo "tardiva" e tale da consentire lesioni autolitiche così precoci da rendere certi organi ir­rimediabilmente inutilizzabili). Si è così imposto il con­cetto di morte "nervosa" o "cerebrale", cioè la dia­gnosi di morte basata sulla costatazione della irreversi­bile messa fuori uso del centro di pilotaggio e coordina­mento dell'intero nostro organismo: il sistema nervoso.

Il tutto viene strettamente corre lato da una parte con la necessità di giovare al prossimo nostro con i mezzi tecnici che l'ingegno umano può di giorno in giorno escogitare e dall'altro con la necessità di controllare.

con l'immediato riscontro autoptico se gli altri organi ed apparati dell'individuo "donatore" siano in condi­zioni tali da far sperare nella vantaggiosa utilitàdell'avvenuto trapianto. Viene così valorizzato l'utiliz­zo tempestivo dell'autopsia nei suoi tre principali scopi ormai da anni ben delineati: lo scopo scientifico per la ricerca delle cause e degli aspetti delle malattie, lo sco­po didattico per tutti gli aspiranti alla non facile pro­fessione del Medico, lo scopo assistenziale per il bene di quei ricevitori d'organo e per l'indispensabile con­trollo di qualità degli operatori sanitari.

 

 

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