Domenico Fedele

Cattedra di Malattie del Metabolismo-Università di Padova
UOC di Diabetologia e Dietetica-ULSS 16-Padova

Quanto è diffuso il diabete?

Secondo stime epidemiologiche, circa 422 milioni di persone nel mondo soffrono di diabete mellito. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la patologia è in costante aumento e causa di almeno 1,5 milioni di decessi ogni anno. A crescere è soprattutto il diabete mellito di tipo 2 (DMT2), che rappresenta circa il 90% dei casi, fortemente legato all’eccesso ponderale, all’iperalimentazione e alla scarsa attività fisica. Possiamo pertanto affermare che, al di là della rilevanza clinica del diabete tipo 1, il reale problema dell’assistenza diabetologica oggi è la terapia del DMT2 e la prevenzione delle sue complicanze croniche. 

Illustrazione 1 - Diabetologia

Il diabete è pericoloso?

L’incidenza cumulativa, sia della mortalità totale che di quella cardiovascolare, è strettamente correlata al grado di intolleranza ai carboidrati e aumenta alla presenza di:

  • alterata glicemia a digiuno (IFG);
  • ridotta tolleranza al glucosio(IGT);
  • diabete neodiagnosticato;
  • diabete noto

Come ridurre i rischi cardiovascolari?

E’ inoltre ormai ben documentata l’osservazione che il buon controllo glicemico, quale ottenuto attraverso una terapia ipoglicemizzante intensiva, sia in grado di ridurre il rischio delle complicanze sia micro che macro vascolari. La riduzione di un punto percentuale della HbA1c, infatti, si accompagna ad una riduzione del rischio di complicanze microvascolari del 37%, di infarto del miocardio del 14% e di ictus del 12%.

Cosa sono gli obiettivi glicemici?

Proprio per una efficace prevenzione delle complicanze secondarie al diabete, gli obiettivi glicemici da raggiungere sono:

  • valori di HbA1c <7%;
  • valori di glicemie postprandiali <160 mg/dl.  

Purtroppo la realtà assistenziale è un’altra, non solo negli USA ma anche nel nostro paese. 


Trattamenti terapeutici per DMT2

L’indagine nazionale Metascreen, condotta su circa 9.000 diabetici afferenti ai nostri servizi di diabetologia, attesta che gran parte dei diabetici tipo 2 non è a target per i valori di HbA1c. Il 41%, nonostante il trattamento, ha valori di HbA1c compresi tra il 7 e il 9%, e addirittura il 13% valori >9%.

I motivi di un tale insuccesso sono molteplici:

  • limitata efficacia degli ipoglicemizzanti orali, sia in associazione che, in particolare, in monoterapia;
  • effetti indesiderati degli ipoglicemizzanti, che spesso ne limitano l’uso a dosi piene;
  • carente educazione terapeutica del paziente;
  • inerzia clinica con cui si procede alle modifiche terapeutiche;
  • non completa correzione dei deficit causa dell’iperglicemia a digiuno e, in particolare, postprandiale.

La monoterapia è efficace?

Dallo studio UKPDS emerge con chiarezza che la monoterapia è destinata a fallire in tempi brevi indipendentemente dal tipo di intervento. Infatti dopo 3 anni solo il 23% dei pazienti  è in terapia solo dietetica, il 44% con solo metformina ed il 45% con sulfoniluree, percentuali che diventano rispettivamente dell’11%, 13% e 21% dopo 9 anni. 

La motivazione di tale progressivo fallimento della terapia orale risiede nel fatto che la secrezione insulinica, già ridotta del 50% al momento della diagnosi, decresce ulteriormente negli anni successivi indipendentemente dalla terapia utilizzata. C’è inoltre il dubbio, avanzato da alcuni ma non confermato dai dati dell’UKPDS, che tale progressivo esaurimento della funzione b-cellulare possa essere accelerato dall’uso delle sulfoniluree, farmaci stimolanti la secrezione d’ insulina. 

Quali sono gli effetti indesiderati della terapia?

Per quanto riguarda gli effetti indesiderati, è ben noto che le sulfoniluree possono essere causa, al pari dell’insulina, sia di ipoglicemie che di aumento del peso corporeo, mentre sia la Metformina che l’Acarbose possono provocare la comparsa di fastidiosi disturbi gastrointestinali. Gli effetti indesiderati dei glitazoni sono numerosi e comprendono:

  • l’edema per ritenzione idrica;
  • l’aumento di peso;
  • scompenso di cuore congestizio in soggetti a rischio, motivo per cui sono controindicati nei soggetti NYHA I-IV. 

Di recente è stata segnalata inoltre, una maggiore frequenza di fratture agli arti nel sesso femminile e la possibilità di una più elevata incidenza, nei soggetti trattati con rosiglitazone, di infarto del miocardio e di mortalità cardiovascolare.

Quanto è importante l’educazione del paziente?

La mancanza di una educazione del paziente è spesso causa di una ridotta compliance aggravata ulteriormente dall’elevato numero di pillole che il diabetico è costretto ad assumere a causa delle patologie associate. Da una indagine farmaco-epidemiologica eseguita tra gli oltre 400.000 assistiti dell’ULSS 16 di Padova è emerso che solo il 52% dei pazienti diabetici ha un’alta aderenza alla terapia con ipoglicemizzanti orali, mentre il 16% ha un’aderenza media ed il restante 32% ha un’aderenza scarsa o nulla. E’ provato che la compliance alle terapie prescritte è inversamente correlata proprio al numero di pillole che il paziente deve assumere durante il giorno.

Cos’è l’inerzia clinica?

Un’altra barriera al raggiungimento di valori glicemici ottimali è rappresentata dalla “inerzia clinica”, cioè dai lunghi intervalli di tempo impiegati dai curanti per procedere alle modifiche terapeutiche necessarie. Secondo alcuni autori, infatti, il tempo che intercorre tra il riscontro di valori di HbA1c >8%  e la modifica della terapia è di 14 mesi per la metformina, di 20 mesi per la sulfoniluree e di ben 23 mesi per i diabetici in trattamento con associazione sulfoniluree e metformina.

In un brillante articolo in cui analizzava il susseguirsi degli interventi terapeutici in rapporto alla storia naturale del diabete tipo 2, Nathan faceva notare che, dal momento che la diagnosi del DMT2 è piuttosto tardiva, le modifiche dello stile di vita vengono di fatto consigliate almeno dopo 4 anni  dalla reale comparsa del diabete. In questo modo la prescrizione del farmaco in monoterapia avverrebbe dopo circa 7 anni dall’esordio, dell’associazione dopo 10 anni e dell’insulina dopo ben 16 anni. Durante questo lungo periodo il diabetico, a seguito di un compenso metabolico insoddisfacente, avrà il tempo ed il modo di andare incontro alle complicanze croniche.
 

Diabete e glicemia: cos’è il glucagone?

Un’altro aspetto di cui l'attuale terapia ipoglicemizzante non tiene conto è il ruolo del glucagone nella patogenesi dell’iperglicemia. Sono conoscenze molto datate quelle che segnalavano come nel DMT2 l’iperglicemia indotta dall’ingestione dei carboidrati era dovuta non solo alla  ridotta risposta insulinemica ma anche ad una ipersecrezione di glucagone. La patogenesi del DMT2 in realtà è molto complessa: accanto al deficit di secrezione insulinica e alla resistenza periferica all’azione dell’ormone, gioca un ruolo anche il glucagone, in particolare nella genesi dell’iperglicemia postprandiale. Orbene, nessuno degli attuali farmaci utilizzati nella terapia del DMT2 è in grado di esercitare un qualche effetto sull’ipersecrezione di glucagone. 
 

Cos’è la "risposta glicemica"?

La risposta glicemica al pasto dipende da una delicata regolazione tra l’immissione in circolo di glucosio e la disponibilità di insulina, che deve consentirne l’utilizzazione da parte dei tessuti periferici. E’ da ricordare, inoltre, che in circolo arriva il glucosio  proveniente  sia dal pasto, quota questa regolata dagli ormoni intestinali (amilina, CCK, GLP-1 ecc), sia dalla produzione endogena da parte del fegato, regolata invece dalla soppressione della secrezione di glucagone e dal contemporaneo aumento della secrezione di insulina. L’euglicemia pertanto è il risultato del perfetto equilibrio tra l’immissione in circolo del glucosio e la sua utilizzazione periferica promossa dall’insulina. Purtroppo quasi tutti i farmaci disponibili oggi per la terapia del diabete, ad eccezione dell’acarbose che agisce sull’assorbimento intestinale degli zuccheri, agiscono sull'offerta dell’insulina.

Si tratta soprattutto di:

  • insulino-secretagoghi, che ne stimolano la secrezione;
  • insulino-sensibilizzanti, che ne favoriscono l’azione periferica.


Stile di vita

L’obesità incide sul diabete?

Caratteristica peculiare del DMT2 è l’obesità, presente in circa l’80% dei pazienti nella sua forma clinica di obesità viscerale e responsabile principale della resistenza periferica all’azione dell’insulina. Va da sé che il calo di peso, ottenuto attraverso misure nutrizionali associate all’aumento dell’attività fisica, debba costituire l’intervento terapeutico prioritario al fine di migliorare il controllo glicemico attraverso l’aumento della sensibilità periferica all’insulina. E’ esperienza comune, infatti, che un calo di peso di pochi Kg sia in grado di normalizzare in breve tempo valori glicemici piuttosto elevati. Risultati di studi clinici quali il Diabetes Prevention Study (DPS) e il Diabetes Prevention Program (DPP) confermano l’efficacia della Terapia Medica Nutrizionale (MNT) nella malattia diabetica con riduzioni della HbA1c dell’1% nel diabete tipo 1 e dell’1-2% nel DMT2. Riduzione ben maggiore di quella ottenuta trattando i soggetti con metformina. Risultati ancora più convincenti sono quelli degli studi a lungo termine, nei quali il calo ponderale, di oltre 20 Kg,  veniva ottenuto con la chirurgia bariatrica.

Illustrazione 2 - Diabetologia

La Terapia Medica Nutrizionale è efficace?

Il problema principale dell’intervento sullo stile di vita è il frequente insuccesso che quasi inevitabilmente segue agli iniziali risultati positivi. Dopo l’incoraggiante calo ponderale ottenuto nei primi mesi si assiste spesso ad un progressivo recupero delle vecchie abitudini alimentari e dello stile di vita sedentario da parte dei pazienti. Ciò è legato alla mancanza di interventi educazionali mirati e approfonditi da associare alla MNT. I risultati del programma di educazione a piccoli gruppi interattivi ROMEO sono particolarmente istruttivi in questo senso. I soggetti seguiti con tale protocollo educazionale, a distanza di 5 anni, esibiscono una migliore qualità di vita e mantengono sia il calo di peso soa la riduzione della HbA1c, mentre i diabetici seguiti con visite tradizionali individuali manifestano una peggiore qualità di vita e un incremento sia del peso sia della HbA1c. L’efficacia dell’intervento basato sull’educazione a piccoli gruppi interattivi è anche documentata da  alcune reviews della Cochrane. C’è comunque da tener presente il fatto che i diabetici anziani, i più colpiti dal DMT2, hanno difficoltà non solo a praticare attività fisica, ma spesso anche a modificare le vecchie abitudini alimentari.

Per tali motivazioni gli interventi sullo stile di vita, pur essendo teoricamente semplici da consigliare e a costi molto contenuti, comportano frequenti insuccessi o, nel migliore dei casi, successi solo a breve termine. Proprio partendo da tali considerazioni una recente consensus dell’American Diabetes Association (ADA) e dell’European Association for the Study of Diabetes (EASD) ha proposto un protocollo terapeutico in cui già alla diagnosi gli interventi sullo stile di vita andrebbero associati al trattamento farmacologico con Metformina, farmaco insulino-sensibilizzante.
 

 Farmaci insulino- secretagoghi

 Rientrano in questo gruppo:

  • le sulfoniluree: glibenclamide o gliburide, glipizide, gliclazide e glimepiride;
  • le glinidi: repaglinide, nateglinide.


Cosa sono le Sulfoniluree (SU)?

Le sulfoniluree (SU) sono i farmaci da più tempo utilizzati, con risultati apprezzabili, nella terapia del DMT2. Agiscono tutte stimolando la secrezione b-cellulare di insulina, ma non la sua sintesi.

Come funzionano le SU?

Si legano ai recettori specifici della b-cellula inducendo:

  • la chiusura dei canali di KATP con conseguente depolarizzazione della membrana;
  • apertura dei canali Ca2+ voltaggio-dipendenti e afflusso intracellulare di ioni Calcio;
  • contrazione dei microtubuli ed esocitosi dell’insulina dalle vescicole. 

Pertanto, perché tali agenti siano efficaci è assolutamente indispensabile che le b-cellule siano funzionanti, siano cioè in grado di rispondere allo stimolo. 

Tali farmaci sono metabolizzati principalmente dal fegato ed eliminati dal rene. Alcuni metaboliti della Glibenclamide sono parzialmente attivi per cui, in presenza di ridotta eliminazione urinaria, possono accumularsi in circolo con conseguenti effetti ipoglicemizzanti. I farmaci di questa classe hanno la medesima efficacia, essendo in grado di ridurre, in monoterapia, la HbA1c dell’1-1,5%. Risultati più apprezzabili si ottengono con l’associazione con la Metformina.

Quali sono gli effetti collaterali delle SU?

 I principali effetti collaterali, legati entrambi alle aumentate concentrazioni di insulina sono:

  • l’ipoglicemia;
  • l’incremento ponderale. 

L’incidenza media degli episodi ipoglicemici in corso di terapia con sulfoniluree si aggira attorno all’1-2% per anno, con un tasso più elevato per la Glibenclamide. Tale effetto indesiderato suggerisce l’opportunità di evitare tale agente nei diabetici anziani per il pericolo che la crisi ipoglicemica possa scatenare episodi ischemici cerebrovascolari.

Le SU sono efficaci?

Allo stato attuale sono ancora in discussione due aspetti critici della terapia con SU:

  • la possibilità che esse possano essere responsabili sia di un aumentato rischio cardiovascolare;
  • che possano portare ad un più precoce esaurimento delle b-cellule. 

Entrambe queste ipotesi non hanno però trovato conferma dallo studio UKPDS. Secondo tale studio infatti il declino progressivo delle funzione beta-cellulare risulta sostanzialmente sovrapponibile nei vari interventi terapeutici. L’aumentato rischio cardiovascolare è stato collegato da alcuni alla possibilità che, essendo  i canali di KATP presenti anche a livello del miocardio, il loro blocco interferisca con il cosiddetto “precondizionamento ischemico”, processo ritenuto protettivo nei confronti della cardiopatia ischemica. Un’indagine recente ha concluso che, sia la Glimepiride che la Gliclazide e la Tolbutamide, non abolendo l’effetto cardioprotettivo del diazossido, non hanno alcun effetto sui canali di KATP del miocardio. Pertanto, queste SU, a differenza della Glibenclamide, non interferirebbero con le vie cellulari responsabili della cardioprotezione.


Cosa sono le glinidi?

Le glinidi sono una relativamente nuova classe di ipoglicemizzanti non-sulfonilureici, rappresentati in Italia dalla sola Repaglinide. La Nateglinide infatti non è commercializzata nel nostro paese. La loro azione è simile a quella delle SU:

  • provocano la chiusura dei canali di KATP;
  • provocano l’apertura di quelli del Ca2+ legandosi , però, ad un sito recettoriale diverso.

Come funzionano le glinidi?

Stimolando la prima fase della secrezione insulinica, l’inizio della loro azione è più precoce e la durata più breve ragion per cui se ne consiglia l’uso per la correzione dell’iperglicemia postprandiale e per il trattamento dei diabetici anziani. 

Le glinidi sono efficaci?

La loro efficacia è simile a quella delle SU, così come i loro effetti indesiderati. L’ipoglicemia è però meno frequente, specie se il confronto viene fatto con la glibenclamide.


Farmaci insulino-sensibilizanti. 

Rientrano in questa classe di farmaci:

  • Biguanidi: attualmente rappresentate dalla sola Metformina, in quanto la Fenformina è stata ritirata alcuni anni or sono;
  • Glitazoni o Tiazolidinedioni (TZD): quali il Pioglitazone ed il Rosiglitazone. Il Troglitazone è stato ritirato dal commercio per la sua epatotossicità.


Metformina

Cos’è la Metformina?

Farmaco in uso in Europa da moltissimi anni, i cui effetti metabolici sono stati riconosciuti, in epoca più recente (1995) anche negli USA. 

Il farmaco esercita un’azione anti-iperglicemizzante, riduce la produzione epatica di glucosio attraverso il blocco della gluconeogenesi e aumenta l’utilizzazione dell’insulina da parte del muscolo tramite la riduzione dei livelli circolanti degli FFA. 

Come funziona la Metformina?

La metformina attiva la AMPK (Adenosin Monofosfato Protein Kinasi) favorendo, a livello epatico, sia il blocco della gluconeogenesi sia l’ossidazione degli acidi grassi e il blocco della sintesi delle VLDL, con conseguente aumento della sensibilità epatica all’insulina. Favorisce anche, a livello muscolare, l’utilizzazione del glucosio. 

La Metformina è efficace?

In monoterapia la sua efficacia è simile a quella delle SU, riducendo la HbA1c di circa l’1-1,5%. Aspetti positivi aggiuntivi sono:

  • il possibile calo di peso;
  • gli effetti ipolipemizzanti, in particolare ipotrigliceridemizzanti;
  • l’assenza di ipoglicemie.

Quali sono gli effetti collaterali della Metformina?

Modesti gli effetti indesiderati, rappresentati in particolare da disturbi gastrointestinali quali: 

  • sapore metallico;
  • diarrea;
  • nausea

Simili disturbi compaiono alla prima introduzione del farmaco, specie se a dosi elevate. Per questo motivo si consiglia di iniziare il trattamento con dosi modeste (500 mg x 2), da incrementare progressivamente e gradualmente sino alle dosi massime consigliate.

Cos’è l’acidosi lattica e quanto è rischiosa?

L’acidosi lattica, complicanza per la quale è stata ritirata dal commercio la Fenformina, è piuttosto rara, meno di un caso ogni 100.000 trattati. Essa si manifesta solo in presenza di situazioni caratterizzate da iperaccumulo di acido lattico quali:

  • l’insufficienza renale;
  • lo scompenso di cuore congestizio;
  • l’insufficienza epatica;
  • l’abuso cronico di alcool.

Tutte queste situazioni costituiscono altrettante controindicazioni all’utilizzo della metformina.


Cosa sono i glitazoni?

I Glitazoni, o Tiazolidinedioni (TZD), sono una classe relativamente recente di farmaci ipoglicemizzanti comprendenti il Pioglitazone e il Rosiglitazone. L’effetto ipoglicemizzante è dovuto alla loro azione insulino-sensibilizzante prevalentemente espletata a livello del muscolo e, in particolare, del tessuto adiposo. 

Come funzionano i glitazoni?

Tali agenti si legano a specifici recettori nucleari, i Peroxisome Proliferator-Activated Receptor gamma (PPARg), altamente espressi negli adipociti, alterando la trascrizione genica. Mediante tale legame risultano influenzati soprattutto i geni che modulano il metabolismo dei Free Fatty Acids (FFA).  Il blocco della lipolisi comporterà una riduzione dei livelli circolanti non solo degli FFA (20-40%), ma anche delle adipo-citochine o adipochine (TNFa, leptina) e un aumento dell’adiponectina.. Ne consegue un miglioramento della sensibilità all’insulina, sia endogena che esogena, a livello del tessuto adiposo e muscolare. Studi sperimentali sugli animali hanno anche documentato un loro effetto positivo sulla funzione b-cellulare attraverso la ridotta esposizione delle b-cellule alla “lipotossicità” prodotta dagli FFA. Ciò ha fatto parlare qualcuno di un effetto di ringiovanimento dei TZD sulle cellule beta del pancreas.

I glitazoni sono efficaci?

Vari studi controllati hanno documentato la capacità dei TZD di ridurre i valori della HbA1c dell’0,5-1,0%, effetto ipoglicemizzante pertanto di poco inferiore a quello indotto dalle SU. Altri effetti positivi segnalati sono:

  • la riduzione dell’escrezione urinaria di albumina;
  • la diminuzione della pressione arteriosa;
  • il miglioramento, in particolare per la pioglitazone, del profilo lipidico. 

Un ipotetico effetto positivo sul rischio cardiovascolare non ha trovato riscontro nei risultati di uno studio, il PROACTIVE Study (PROspective pioglitAzone Clinical Trial In macroVascular Events), nel quale la riduzione del 10% dell’end-point primario (mortalità cardiovascolare) non è risultata significativa. Risultava positivo invece l’end-point secondario, costituito da mortalità da ogni causa, infarto del miocardio non fatale e ictus. 

Quali sono gli effetti indesiderati dei TZD?

Gli effetti indesiderati più importanti dei TZD sono:

  • l’incremento ponderale, causato sia dallo spostamento degli adipociti dal distretto viscerale a quello sottocutaneo che dalla ritenzione idrica;
  • l’’edema;
  • l’anemizzazione;
  • la possibilità, specie nei soggetti a rischio, di scompenso di cuore congestizio 

Chi può assumere TDZ?

Per tale motivo i TZD negli USA sono controindicati nei soggetti NYHA II-IV e in Europa anche nei pazienti NYHA I. La controindicazione nei diabetici in trattamento insulinico è stata invece annullata. 

Di recente lo studio ADOPT (A Diabetes Outcome Progression Trial), pianificato per documentare il fallimento nel tempo del Rosiglitazone confrontato con farmaci quali la Gliburide e la Metformina, nell’evidenziare la maggiore persistenza nel tempo dell’effetto ipoglicemizzante del farmaco, ha documentato però una maggiore frequenza di fratture agli arti nei soggetti di sesso femminile trattati con Rosiglitazone. Inoltre una recente meta-analisi di 42 trials clinici condotti con rosiglitazone ha avanzato il forte dubbio che tale glitazone aumenti il rischio sia di infarto del miocardio che di mortalità cardiovascolare. Un'analisi ad interim dello studio RECORD, pianificato proprio per dimostrare le proprietà preventive del Rosiglitazone nei confronti del rischio cardiovascolare, ha evidenziato che il rosiglitazone non aumenta la mortalità cardiovascolare, ma neppure la riduce. Una meta-analisi più recente degli stessi studi valutati in precedenza, criticando le metodologie statistiche utilizzate dagli autori, conclude

 “the risk for myocardial infarction and death from cardiovascular disease for diabetic patients taking rosiglitazone is uncertain. Neither increased nor decreased risk is established” .

Sulla scorta di tali evidenze, la Food and Drug Administration (FDA) ha votato quasi all’unanimità la decisione di lasciare nel mercato il Rosiglitazone, sconsigliandone dunque la prescrizione nei soggetti a rischio cardiovascolare. Infine, va ricordato che i PPARg  sono presenti in numerose altre sedi, quali i monociti, i macrofagi, le cellule epiteliali del colon  e l’ipofisi e che non sono ancora noti i possibili effetti a lungo termine in tali tessuti.
 

Inibitori della a-glucosidasi

Appartengono a tale categoria l’Acarbose ed il Miglitolo, farmaci che agiscono a livello del piccolo intestino prossimale ritardando l’assorbimento dei polisaccaridi e quindi riducendo i livelli postprandiali del glucosio, senza indurre ipoglicemia. Per tale motivo trovano indicazione specifica nel trattamento delle iperglicemie postprandiali e vanno assunti al momento dei pasti in 3 somministrazioni/die. Nel nostro paese non è in commercio il Miglitolo. 

Gli inibitori hanno effetti collaterali?

Il loro effetto ipoglicemizzante è inferiore a quello indotto dagli altri ipoglicemizzanti orali, riducendo la HbA1c dello 0,5-0,8%. Non provocano calo ponderale ma, agendo sull’assorbimento degli zuccheri, sono responsabili di effetti indesiderati quali:

  • flatulenza;
  • dolore addominale;
  • diarrea;
  • altri disturbi legati alla produzione di gas a seguito dell’aumentata eliminazione di polisaccaridi a livello del colon. 

I disturbi intestinali motivano la scarsa accettazione da parte dei pazienti di tali farmaci. Lo studio STOP-NIDDM pianificato per una prevenzione primaria del diabete con l’Acarbose in soggetti a rischio, aveva segnalato una riduzione del rischio cardiovascolare e di ipertensione arteriosa in tali soggetti. Tali dati hanno però bisogno di ulteriore conferma.


Insuline

Non c’è dubbio alcuno che l’insulina sia il più potente ed efficace ipoglicemizzante disponibile. Proposta inizialmente per il trattamento del diabete tipo 1, in considerazione proprio della sua insulino-dipendenza, da qualche tempo ci si è convinti ad utilizzarla nel DMT2. Tale necessità deriva dalla convinzione che, nella patogenesi del DMT2, il deficit di insulina gioca un ruolo almeno pari a quello della resistenza periferica.  

Illustrazione 3 - Diabetologia

Quali sono i benefici della terapia insulinica?

I benefici che induce il trattamento con insulina nei diabetici tipo 2 sono numerosi.

La terapia insulinica ha effetti indesiderati?

Gli effetti indesiderati della terapia insulinica sono:

  • ipoglicemie: tanto più frequenti quanto più si tende al target glicemico ottimale;
  • incremento ponderale. 

Tali effetti possono però essere limitati da un’educazione ottimale, dall’autogestione e da una osservazione scrupolosa della MNT. Per gli schemi da utilizzare nel DMT2 si rimanda ad una recente rassegna sull’argomento.

Esistono altri farmaci contro il diabete?

Anche se non hanno ancora trovato applicazione in particolari schemi terapeutici per il DMT2, alcuni autori includono gli agenti anti-obesità tra i farmaci anti-iperglicemizzanti. In particolare si menzionano: 

  • l’Orlistat: inibitore dell’assorbimento intestinale dei grassi;
  • il Rimonabant: bloccante i recettori cannabinoidi tipo 1

Ciò in virtù del fatto che il modesto calo di peso da essi provocato si può associare ad un modesto miglioramento dei valori glicemici e della HbA1c. Il motivo della scarsa accettazione da parte dei medici ed in particolare dei pazienti consiste nell'elevata incidenza di effetti collaterali particolarmente indesiderati. 


Protocollo terapeutico

Sulla base delle considerazioni esposte, un “Consensus statement” dell’ADA e dell’ EASD ha proposto un algoritmo con l’obiettivo di aiutare i sanitari nella scelta degli interventi terapeutici più appropriati nei  pazienti affetti da DMT2. 

Quali sono gli obiettivi della terapia?

Gli obiettivi da raggiungere con questo schema sono sempre quelli proposti dall’ADA: 

Il goal della HbA1c per il singolo paziente è una HbA1c il più vicino possibile al valore normale (<6%) senza ipoglicemia significativa”. 

Il segnale per un intervento mirato ad iniziare o modificare uno schema terapeutico sarà dato dal riscontro di valori di HbA1c >7% allo scopo di ridurli, se possibile, sino alla normalità.
I principi guida nella scelta dell’ipoglicemizzante più appropriato dovrebbero essere:

  • l’efficacia ipoglicemizzante;
  • gli eventuali effetti specifici sui fattori di rischio cardiovascolare;
  • i profili di sicurezza;
  • la tollerabilità ed i costi.

Lo schema proposto prevede come primo intervento l’utilizzo immediato della Metformina in associazione alle modifiche dello stile di vita, dato che in molti pazienti la sola terapia dietetica e attività fisica non portano a risultati apprezzabili.

Quali sono i benefici della Metformina?

L’indicazione a preferire la Metformina come primo farmaco ipoglicemizzante deriva dalla possibilità di sfruttare  i suoi molteplici effetti. Ipoglicemizzante al pari delle sulfoniluree, la Metformina:

  • non influenza il peso;
  • non provoca ipoglicemie;
  • ha un’azione ipotrigliceridemizzante;
  • provoca scarsi effetti indesiderati specie se utilizzata all’inizio a dosi ridotte;
  • ha costi molto ridotti. 

Si dovrebbe iniziare il trattamento con dosi di 500 mg due volte al giorno, incrementando dopo 5-7 giorni a 850-1000 mg prima della colazione e della cena. In assenza di effetti indesiderati si può aumentare la dose sino ai 3 g/die. 

Cosa fare se il primo trattamento fallisce?

Se, dopo 2-3 mesi dalla ottimizzazione della dose, l’HbA1c è ancora >7% si deve aggiungere un secondo farmaco la cui scelta dipenderà in gran parte dai valori della HbA1c. Non c’è grande consenso nei riguardi di tale scelta, se cioè preferire la SFU, il TDZ o addirittura l’insulina. Il valore della HbA1c dovrebbe essere di aiuto, nel senso che in presenza di valori >8,5% o di sintomi da iperglicemia si dovrebbe preferire l’insulina in considerazione del suo elevato potere ipoglicemizzante. Con valori inferiori si può ricorrere in sequenza alla SFU e al TDZ o, viceversa, al TDZ e alla SFU. 

Cosa fare se il secondo trattamento fallisce?

Quando anche il secondo farmaco fallisce il ricorso immediato all’insulina diventa un obbligo, dapprima come monosomministrazione serale in associazione ai farmaci orali e poi come iniezioni multiple di analogo rapido ai pasti più analogo lento “bedtime” associata ad un insulino-sensibilizzante.

Quali sono le linee guida del protocollo terapeutico?

Le linee guida essenziali dello schema consigliato dalla Consensus in pratica si possono così sintetizzare:

  • raggiungimento e mantenimento di goal glicemici ottimali.
  • trattamento iniziale con modifiche dello stile di vita  in associazione a Metformina con il supporto di un’educazione terapeutica eseguita da personale addestrato.
  • aggiunta rapida di un farmaco se i target glicemici non sono stati raggiunti.
  • aggiunta precoce di insulina nei pazienti in controllo metabolico insoddisfacente.

Dallo schema si evince che:

  • è necessario il ricorso immediato ad almeno un insulino-sensibilizzante;
  • potrebbe servire l’aggiunta di una SFU ma solo in seconda istanza;
  • occorre il precoce ricorso alla terapia insulinica;
  • è necessario eseguire le modifiche terapeutiche nei tempi più ristretti possibili.

Quali farmaci utilizzare per regolare il glucosio?

Come si accennava prima, i farmaci attualmente a nostra disposizione hanno alcuni limiti tra i quali:

  • l’ efficacia non sempre soddisfacente;
  • gli effetti indesiderati, specie se utilizzati a dosi elevate;
  • l’azione espletata prevalentemente sulla richiesta di insulina, sia stimolandone la secrezione sia favorendone l’utilizzazione periferica

Nessuna delle sostanze oggi disponibili per la terapia del diabete tipo 2 è in grado di regolare il glucose supply, ossia la quota di glucosio apportata dal pasto e regolata dagli ormoni Amilina, CCK e GLP-1, cui si aggiunge la quota di glucosio prodotta dall’organismo e regolata dal gioco secrezione-soppressione tra insulina e glucagone. Tra l’altro è ben noto che nel DMT2 l’iperglicemia postprandiale è dovuta tanto ad un deficit di insulina quanto ad una ipersecrezione di glucagone. Sono state queste considerazioni a far proporre l’utilizzo degli  ormoni intestinali e loro analoghi nel trattamento del DMT2 in associazione alle terapie tradizionali.   


Cos’è l’Amilina?

L’Amilina è un polipeptide di 37 aminoacidi secreto in quantità equimolari con l’insulina dalle cellule beta del pancreas. Ritenuta inizialmente principale costituente dei depositi pancreatici di amiloide, e quindi chiamata in causa nella patogenesi del diabete, attualmente ne viene in particolare enfatizzato il ruolo nel controllo della glicemia postprandiale

L’Amilina viene secreta in risposta principalmente a stimoli nutrizionali, ma anche al glucagone,  al GLP-1 e agli agonisti colinergici. E’ inibita dall’insulina e dalla somatostatina. I livelli plasmatici di Amilina correlano con quelli dell’insulina: sono piuttosto bassi in condizioni di digiuno e aumentano di quasi 20 volte dopo l’ingestione di cibo. Essa risulta marcatamente ridotta nel diabete tipo 1, mentre spesso è piuttosto elevata in situazioni di insulino-resistenza, quali l’obesità, la ridotta tolleranza ai carboidrati ed il DMT2. 

Come funziona l’Amilina?

Le azioni più rilevanti dell’Amilina e del suo analogo Pramlintide sono:

  • soppressione della secrezione del glucagone, in particolare nella fase postprandiale;
  • conseguente riduzione della produzione epatica di glucosio e quindi dei livelli glicemici postprandiali;
  • aumento del senso di sazietà indotto per via centrale;
  • riduzione del tempo di svuotamento gastrico

L’infusione cronica o intracerebrale di Amilina nei ratti è stata in grado di ridurre l’introduzione di cibo provocando un calo di peso. Dati recenti fanno ipotizzare che l’effetto saziante dell’Amilina sia legato all’inibizione da parte di questa sostanza dell’ormone gastrico grelina, ormone stimolante l’appetito.

La tendenza dell’Amilina ad aggregare e ad aderire alle superfici, associata alla sua instabilità in soluzione e alla difficoltà di conservazione, ne rendono difficile il suo utilizzo quale farmaco. Si è reso pertanto necessario il ricorso ad un analogo sintetico dall’efficacia clinica simile ma dalla maggiore maneggevolezza, la Pramlintide (Symlin)

L’Amilina è efficace?

I dati sperimentali hanno documentato che la Pramlintide, somministrata ai pasti per via sottocutanea in dosi di 20-30 mcg tre volte al giorno, ha effetti positivi sia sul controllo glicemico che sul peso. Ciò vale per i diabetici tipo 1 e per i diabetici tipo 2. Gli studi a più lungo termine confermano tali risultati, evidenziando dopo 26 settimane, un calo della HbA1c di 0,6% nei DMT2 e di 0,4% nei tipo1, ed un calo ponderale rispettivamente di 1,5 e 1,1 Kg. Il maggior calo di peso si osserverebbe nei soggetti con BMI >40 Kg/m2.

L’Amilina è pericolosa?

L’associazione della Pramlintide all’insulina può aumentare il rischio di ipoglicemie in particolare nei diabetici tipo 1. Tale effetto indesiderato, associato al fatto che la Pramlintide deve essere iniettata per via sottocutanea tre volte al dì, limita l’uso di tale farmaco. Negli USA ad esempio, è stato autorizzato dalla FDA solo per diabetici sovrappeso di tipo 1 e 2 che siano anche in precario equilibrio glicemico e con prevalenti escursioni glicemiche post prandiali. Altri effetti collaterali sono:

  • disturbi gastrointestinali;
  • nausea moderata;
  • anoressia;
  • vomito


Incretine e Incretino-mimetici. 

Le incretine sono ormoni secreti dalle cellule dell’intestino in risposta all'introduzione di cibo.

Cosa sono le incretine?

Il concetto di “incretine” è nato dalla vecchia osservazione che il glucosio somministrato per via orale, a risposta glicemica perfettamente sovrapponibile, provoca una risposta insulinemica nettamente superiore a quella evocata dalla somministrazione di un uguale carico di glucosio endovena. Tale effetto è stato chiamato “effetto incretinico” ed è stato attribuito a sostanze ormonali secrete dall’intestino, chiamate appunto incretine, che agiscono modulando proprio quel “glucose supply” sul quale non riesce a intervenire la tradizionale terapia ipoglicemizzante. L’effetto incretinico è responsabile di oltre il 50% della secrezione totale dell’insulina dopo il pasto. Da tali osservazioni è nata anche la vecchia definizione di  “asse entero-insulare”. La biologia delle incretine ed il loro ruolo nella omeostasi glucidica sono stati ampiamente descritti in alcune rassegne.

Cos’è il GIP?

La prima incretina scoperta è stata  il GIP un polipeptide di 42 aminoacidi secreto dalle cellule K del piccolo intestino prossimale in risposta all’ingestione di cibo. Inizialmente ritenuto importante per la sua azione di inibizione della secrezione acida gastrica è oggi famoso per la sua più importante azione di stimolo della secrezione di insulina.

Cos’è il GLP-1?

La seconda incretina, identificata clonando i geni codificanti il proglucagone,  è stata il glucagon-like peptide 1 (GLP-1), polipeptide presente in circolo in due forme:

  • GIP;
  • GLP-1, secreto dalle cellule neuroendocrine L dell’ileo distale e del colon pochi minuti dopo l’ingestione di cibo.

I livelli plasmatici sia di GIP che di GLP-1 si riducono molto rapidamente a causa della loro sollecita inattivazione da parte dell’enzima dipeptidil-peptidasi-4 (DPP-4). 

Come funziona il GLP-1?

Entrambi questi ormoni espletano la loro azione insulinotropica tramite il legame a specifici recettori  (Glucagon G-protein-coupled Receptor = GPCR), che per il GIP sono espressi prevalentemente a livello delle b-cellule pancreatiche, mentre per il GLP-1 (GLP-1R) sono espressi a livello:

  • delle a-cellule e b-cellule pancreatiche;
  • dei tessuti periferici

Il legame ai recettori delle b-cellule stimola sia la biosintesi dell’insulina sia la loro proliferazione. E’ stato inoltre documentato che l’attivazione dei recettori GIP e GLP-1 sia in grado, negli animali da esperimento ma anche  nell’uomo, di aumentare la resistenza all’apoptosi e la sopravvivenza delle b-cellule. 

Quali sono gli effetti del GLP-1 sul glucosio?

Il GLP-1 è in grado inoltre di esercitare altri importanti effetti quali:

  • l’inibizione della secrezione di glucagone;
  • l’inibizione dello svuotamento gastrico;
  • l’aumento del senso di sazietà;
  • la perdita di peso;
  • l’aumento del “glucose disposal”. 

Anche l’inibizione della secrezione di glucagone è glucosio-dipendente, mentre la risposta del glucagone all’ipoglicemia è conservata anche in presenza di elevate concentrazioni di GLP-1. Studi hanno documentato che l’effetto incretinico è sostanzialmente ridotto nei soggetti affetti da diabete tipo 2 mentre è conservata quella del GLP-1. Nel DMT2, infatti, la secrezione di GIP è preservata mentre la sua azione insulinotropica è ridotta. Al contrario la secrezione di GLP-1 è marcatamente deficitaria nel diabete tipo 1, ma la sua azione di stimolo dell’insulina è conservata.

GLP-1 è efficace?

L’osservazione che la b-cellula dei diabetici è piuttosto resistente all’azione del GIP, mentre il GLP-1 conserva la sua funzione glico-regolatrice, ha convinto gli studiosi ad approfondire gli studi sul GLP-1 quale potenziale agente terapeutico per il trattamento del diabete. La vita media del GLP-1 è di circa 7 min. Tale brevissima durata è dovuta alla degradazione enzimatica ad opera della DPP-4, pochi minuti dopo l’entrata in circolo, e alla rapida clearance renale. Pertanto, per un utilizzo terapeutico di tale sostanza si renderebbe necessaria un’infusione continua. 

Quali sono i benefici del GLP-1?

Esperimenti fatti con la somministrazione continua di GLP-1 hanno dimostrato che tale ormone è in grado di:

  • abbassare rapidamente, nei diabetici tipo 2, sia la glicemia postprandiale che quella a digiuno;
  • ridurre la HbA1c;
  • migliorare la risposta insulinemica;
  • aumentare la sensibilità insulinica;
  • sopprimere la secrezione di glucagone;
  • indurre anche un modesto calo ponderale.

Un trattamento infusionale continuo, se può essere condiviso in situazioni di emergenza per un breve periodo, non può essere proposto per una terapia cronica quale quella necessaria nel DMT2. Da ciò l’esigenza di ricorrere ad agonisti del GLP-1R o a  sostanze che ne prolunghino l’azione, quali gli inibitori del DPP-4, per questo definiti incretino-mimetici.


GLP-1R agonisti

Cos’è Exendin-4?

Il primo agonista del GLP-1R è stato Exendin-4, sostanza isolata dalla saliva della Gila Monster (Heloderma suspectum) e che presenta il 53% degli aminoacidi identici a quelli del GLP-1 dei mammiferi. L’Exenatide (Byetta-Lilly), versione sintetica dell’Exendin-4,  è stata utilizzata in vari trials clinici, dimostrando di possedere le proprietà di:

  • potenziare la secrezione d’insulina;
  • sopprimere la secrezione di glucagone;
  • rallentare lo svuotamento gastrico. 

Come funziona Exendine-4?

Circa la secrezione d’insulina nel DMT2, l’Exenatide ne stimola sia la prima che la seconda fase in modo dose-dipendente e glucosio-dipendente. In pratica la secrezione d’insulina viene stimolata solo in presenza di iperglicemia. In conseguenza della sua maggiore resistenza alla degradazione enzimatica, l’emivita dell’Exenatide è di 12-14 ore, il che consente di utilizzarla in doppia somministrazione/die sottocutanea circa 60 min. prima della colazione e della cena. 

Come e quando assumere Exendine-4?

Come ricordato prima, l’Exenatide sopprime la secrezione del glucagone in modo glucosio-dipendente (ma non in fase di ipoglicemia), rallenta lo svuotamento gastrico ed induce un calo ponderale. I vari studi clinici hanno documentato che, se somministrata alla dose di 10 mcg due volte al giorno a diabetici tipo 2 in precario equilibrio metabolico, è in grado di:

  • migliorare la glicemia postprandiale;
  • migliorare la HbA1c;
  • migliorare il peso corporeo. 

Exendine-4 è efficace?

Nei soggetti trattati con una dose di 5mcg x 2 la riduzione della HbA1c era di 0,46%, mentre con 10mcg x 2 si otteneva una riduzione quasi doppia (0,86%). L’Exenatide è stata messa a confronto, sempre nel DMT2, anche con la terapia aggiuntiva con Glargine. Entrambi i trattamenti davano, dopo 26 settimane, un calo della HbA1c sovrapponibile (1,1%), ma mentre la Glargine induceva un aumento di peso (1,8 Kg), l’Exenatide provocava un calo ponderale di 2,3 Kg ed anche un minor numero di ipoglicemie notturne. Un calo ponderale di ben 4,4 Kg è riportato con un trattamento prolungato per 82 settimane. Gli stessi autori hanno documentato che il calo della HbA1c è maggiore nei diabetici con peggiore controllo glicemico (HbA1c>9%) rispetto ai pazienti con HbA1c di base <9%. 

Quali disturbi causa Exendine-4?

Dai vari studi emerge una maggiore incidenza di disturbi gastrointestinali quali:

  • nausea;
  • vomito;
  • diarrea. 

E’ riportata inoltre una maggiore frequenza di ipoglicemie, soprattutto quando associata a sulfonilurea.

Chi può assumere Exendine-4?

Tale farmaco è stato autorizzato negli USA con indicazione specifica per i diabetici tipo 2 non ben controllati dalla tradizionale terapia con Metformina e/o sulfoniluree e loro associazioni. E’ invece controindicato nei diabetici tipo 1 in quanto mai sperimentato in tali soggetti. La Exenatide è stata approvata dalla FDA nel 2005, mentre la decisione di approvarne l’indicazione anche in associazione ai glitazoni, è stata ritenuta piuttosto frettolosa e criticata in un editoriale dal titolo significativo: “Exenatide in combination therapy: small study, big market, and many unanswered questions”.

Illustrazione 4 - Diabetologia

Quali sono i vantaggi di Exendine-4?

Il vantaggio principale della terapia con Exenatide consiste nella possibilità di migliorare il controllo glicemico riducendo, contrariamente agli altri ipoglicemizzanti, il peso. Si consiglia di iniziare con dosi di 5 mcg x 2/die, per poi passare ai 10 mcg x 2/die. 

Gli svantaggi sono principalmente:

  • la doppia somministrazione sottocutanea;
  • la comparsa di disturbi intestinali;
  • la comparsa di ipoglicemie.

Ci sono altri agonisti in sviluppo?

Sono ancora in fase di sviluppo altri agonisti del GLP-1R quali:

  • Liraglutide, analogo resistente al DPP-4 che si lega all’albumina allungando la sua emivita tanto da poter essere somministrato una sola volta al dì;
  • Exenatide LAR (Long Acting Release) che addirittura potrebbe essere somministrata una volta alla settimana


Inibitori della DPP-4

Una seconda alternativa per aumentare la vita media delle incretine è quella di inibire l’attività della DPP-4, enzima responsabile della loro precoce degradazione. Tra l’altro, l’attività della DPP-4 risulta aumentata nel DMT2, ragione per la quale la secrezione postprandiale  di GLP-1 è ridotta in questi pazienti. 

Cosa sono gli antagonisti della DPP-4?

Tali dati hanno portato allo sviluppo di antagonisti della DPP-4, in grado di incrementare gli effetti insulinotropici del GIP e del GLP-1. Al momento sono due le molecole su cui si è accentrata maggiormente l’attenzione degli studiosi: 

  • Sitagliptin (Januvia-Merck);
  • Vildagliptin (Galvus-Novartis). 

Il vantaggio principale di tali sostanze rispetto agli agonisti del GLP-1, sta nella possibilità di somministrarli per via orale. Entrambe le molecole hanno completato gli studi di fase III, nei quali sono state utilizzate sia in monoterapia sia in associazione con altri ipoglicemizzanti orali. Non vengono segnalati eventi avversi di una certa importanza, entrambe le sostanze sono ben tollerate e sicure e non sono riportate ipoglicemie né disturbi intestinali degni di nota. Risultano inoltre neutrali nei riguardi del peso corporeo.


Cos’è Sitagliptin?

Il Sitagliptin, alla dose orale di 100 mg, inibisce oltre l’80% del DPP-4, raddoppiando i livelli in circolo del GLP-1 e inducendo in tal modo sia un aumento dei livelli di C-peptide e insulina sia una soppressione della secrezione di glucagone. Nei diabetici tipo 2 il Sitagliptin è stato studiato tanto in monosomministrazione quanto in associazione con Metformina, Pioglitazone e, più recentemente, anche Glipizide. La monosomministrazione di 100 e 200 mcg/die dell’inibitore è in grado di ridurre la HbA1c rispettivamente di 0,79% e 0,94%. La riduzione della HbA1c risulta strettamente correlata ai suoi valori basali e le maggiori riduzioni sono rilevate nei diabetici con valori >9,0%.

Sitagliptin è efficace?

In uno studio a lungo termine in cui il Sitagliptin è stato messo in confronto con la Glipizide in diabetici mal controllati dalla Metformina, è stata documentata la sua non inferiorità rispetto alla sulfonilurea. La riduzione della HbA1c in entrambi i gruppi è risultata, dopo 52 settimane, di 0,67%, mentre la percentuale dei diabetici che hanno raggiunto valori di HbA1c <7% è stata del 63% (Sitagliptin) e 59% (Glipizide). Tra l’altro la percentuale dei pazienti con eventi avversi è stata maggiore nel gruppo trattato con Glipizide (30%) rispetto a quella del gruppo trattato con Sitagliptin (14,5%). Anche gli episodi ipoglicemici sono risultati più frequenti nei diabetici trattati con la sulfonilurea rispetto a quelli trattati con l’inibitore del DPP-4. 

Nell’ottobre del 2006 il Sitagliptin ha ottenuto l’approvazione della FDA per il trattamento del DMT2. Approvazione aspramente criticata da Nathan in un recente articolo in cui, dopo aver affermato che 

“sitagliptin is one of the less effective glycemia-lowering drugs introduced in recent years”

conclude 

“what is surprising is that despite the paucity of  published data from long-term clinical rials, sitagliptin was approved by FDA” .

Sitagliptin è sicuro?

Mentre l’insufficienza epatica non sembra alterare la farmacocinetica di tale inibitore, la presenza di sofferenza renale tende ad aumentare. Le dosi di Sitagliptin vanno perciò ridotte da 100 mg/die a 50 mg nei soggetti con clearance della creatinina <50 ml/min e a 25 mg in presenza di una clearance <30 ml/min.


Cos’è Vildagliptin?

L’assorbimento del Vildagliptin è piuttosto rapido inducendo, dopo circa 30-60 min, una inibizione di oltre il 90% della DPP-4 che dura circa 12 ore. Anche questo inibitore è stato sperimentato:

  • per periodi variabili da 12 a 52 settimane;
  • in normali e diabetici tipo 2;
  • in monoterapia e in associazione con la Metformina e con la Pioglitazone.

 Quali sono i vantaggi di Vildagliptin?

Alle dosi di 50 mg una o due volte al dì, o di 100 mg una volta al dì, il Vildagliptin:

  • riduce la HbA1c dello 0,7-1,1%;
  • migliora la glicemia a digiuno e postprandiale;
  • non induce né aumento di peso né significativi effetti collaterali. 

Nonostante tali dati, e probabilmente a seguito delle critiche ricevute per altre approvazioni piuttosto affrettate, la FDA ha negato l'approvazione per la messa in commercio del Vildagliptin, richiedendo ulteriori studi.

Ci sono altri inibitori della DPP-4?

Un altro inibitore della DPP-IV, il Saxaglitin (BMS-477118B), è entrato solo di recente in sperimentazioni di fase III. In uno studio di 12 sett. la somministrazione di 10 mg sarebbe in grado di ridurre la HbA1c di circa l’1%.

Nei riguardi della terapia con gli inibitori della DPP-4 è comunque da tener presente che la amino-peptidasi DPP-IV esiste sia nella forma legata alle membrane, che è praticamente ubiquitaria, sia nella forma solubile plasmatica. Allo stato attuale mancano dati relativi agli effetti dell’inibizione a lungo termine di tale enzima a livello dei vari tessuti.


Conclusioni

Nel prossimo futuro per la terapia del DMT2 si avranno a disposizione numerose altre molecole con le quali il curante avrà maggiori possibilità di raggiungere gli obiettivi che oggi sono spesso difficilmente raggiungibili. 

  • l’Exenatide offre la possibilità di ottenere un calo di peso in soggetti in cui il sovrappeso è un ostacolo alle modifiche terapeutiche; 
  • gli inibitori delle DPP-IV presentano il vantaggio di poter essere somministrati per via orale e non incrementano il peso. 

Si tratta di vantaggi di una certa importanza. 

Nonostante ciò, il loro utilizzo non sarà facile poichè dovranno essere utilizzate in aggiunta alle terapie tradizionali, necessiteranno a volte della somministrazione parenterale e saranno gravate spesso da effetti indesiderati aggiuntivi. Tra l’altro mancano ancora informazioni sugli effetti di tali ormoni intestinali e loro analoghi nei soggetti affetti da malattie dell’intestino o sottoposti ad interventi chirurgici del tratto gastro-intestinale.

Le difficoltà che oggi il medico ha nel prescrivere l’associazione tra più ipoglicemizzanti e, ancor di più, nel consigliare l’insulina, saranno ancora maggiori e saranno praticamente insuperabili se, come avviene già oggi, non si associa alla prescrizione farmacologica un percorso approfondito e ripetuto di educazione terapeutica. Il che sarà possibile solo quando saranno applicati, dai medici di medicina generale e dagli specialisti, gli standard assistenziali che affidano a ciascuna categoria compiti specifici rapportati alle specifiche competenze e professionalità. Sarà necessario riconoscere il ruolo specialistico fondamentale della diabetologia e adeguare le strutture ai reali bisogni dei diabetici e dei diabetologi.



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