Cos'è l’aterosclerosi?

 

Tratto dal Libro "Una Mela al Giorno", Casa Editrice Priuli & Verlucca.

 

Il ruolo preminente svolto dall’aterosclerosi come causa di morte nella maggior parte dei Paesi industrializzati è ampiamente riconosciuto. Rappresenta, infatti, il substrato anatomopatologico che caratterizza la grande maggioranza delle malattie cardiovascolari (44% del totale dei decessi registrati).

Identificata nell’uomo più di 3000 anni fa (già descritta dagli Egizi e dai Greci) l’aterosclerosi era relativamente poco frequente prima del XIX secolo. Le successive prima e seconda rivoluzione industriale e, ancor più, quella post industriale, hanno prodotto un rapido cambiamento dello stile di vita, sia nell’alimentazione che nei comportamenti, che ha determinato un’accelerazione della storia di questa patologia.

Il termine aterosclerosi indica la presenza all’interno delle arterie di ateromi o placche aterosclerotiche (dal greco atherè = pappa, cioè il materiale poltaceo contenuto nelle placche). Termine che non va confuso con quello di arteriosclerosi, che indica invece l’indurimento (sclerosi) della parete arteriosa legato al progredire dell’età, per sostituzione della componente elastica delle arterie con  connettivo fibroso.

Illustrazione 1 - Cardiologia

Come funziona il sistema cardiovascolare?

Poiché l’aterosclerosi, per definizione, interessa il sistema cardiovascolare, ci sembra opportuno accennare, per sommi capi, all’anatomia ed alla funzione di tale sistema. In questo modo si potranno meglio comprendere le alterazioni, anatomiche e funzionali, di cui ci accingiamo a parlare. Il sistema cardiovascolare  è composto essenzialmente da tre parti:
  • una pompa meccanica, il cuore, che rilasciandosi e contraendosi ritmicamente,  aspira e spinge il sangue a contatto con tutte le cellule dell’organismo, fin nella più lontana periferia;
  • un fluido, il sangue, che porta a tutte le cellule dell’organismo ossigeno e sostanze nutritive, e asporta da queste anidride carbonica e rifiuti derivanti dalla metabolizzazione delle sostanze nutritive;
  • una rete di canali, i vasi sanguigni, attraverso i quali passa il sangue.
 

I due sistemi circolatori

Da un punto di vista meccanico il cuore e i vasi costituiscono un sistema chiuso. Il cuore è formato da quattro camere: un atrio e un ventricolo a destra ed un atrio e un ventricolo a sinistra. Tra la le camere di destra e di sinistra non vi è alcuna comunicazione diretta. I due ventricoli, contraendosi contemporaneamente (sistole ventricolare), spingono il sangue in due sistemi circolatori, fra loro distinti e separati:

  • il ventricolo destro nel piccolo circolo polmonare dove il sangue,  venendo a stretto contatto  con l’aria negli alveoli polmonari, si carica di ossigeno (che si lega all’emoglobina dei globuli rossi) e cede nell’ambiente esterno l’anidride carbonica;
  • il ventricolo sinistro nel grande circolo sistemico, attraverso cui il sangue porta l’ossigeno e le sostanze nutritive a tutte le cellule, asportando da queste anidride carbonica e prodotti di scarto metabolici.
 

Qual è il percorso del sangue?

La contrazione ritmica del cuore è dovuta a un impulso elettrico che nasce spontaneamente dal nodo del seno, situato nell’atrio destro. Per svolgere la sua funzione di pompa il cuore deve ricevere senza interruzione ossigeno e sostanze energetiche, ruolo svolto dalle arterie coronariche, originando dal primo tratto dell’aorta, circondano il cuore come una corona (da cui il nome).

Per percorrere i due sistemi circolatori, polmonare e sistemico, il sangue si avvale da un sistema di tubi che partendo dal cuore (l’aorta e le altre grandi arterie) progressivamente si dividono in condotti sempre più piccoli, arterie, arteriole, fino a tubicini dalla parete sottilissima, i capillari, attraverso i quali avvengono gli scambi tra il sangue e il circostante liquido interstiziale, apportando ossigeno e nutrienti, e asportando anidride carbonica e scorie.

Questa è la vera e unica funzione del sistema cardiocircolatorio, una volta espletata il sangue ritorna al cuore deprivato di ossigeno e di sostanze nutritive e carico di anidride carbonica attraverso il sistema venoso.Il vero effettore della circolazione sanguigna è il microcircolo, l’area vascolare terminale, costituita dalle arteriole, dai capillari e dalle venule. 

 

L’importanza dell’endotelio

L’endotelio, lo strato di cellule che riveste la faccia interna dei vasi, su cui scivola il sangue, considerato fino a circa 20 anni fa un semplice e inerte rivestimento, è oggi unanimemente considerato uno degli organi più importanti del sistema circolatorio, capace di influenzare in modo significativo lo stato di salute dell’individuo.

Grazie, infatti, alla sua particolare collocazione anatomica - interfaccia tra il circolo ematico e la parete vascolare - svolge in condizioni fisiologiche, attraverso la produzione di  numerose sostanze, un ruolo protettivo nei confronti dell’integrità vascolare, favorendo lo scorrimento del sangue  sulle pareti vasali, partecipando ai processi coagulativi (favorendo o inibendo la formazione e la lisi dei trombi), regolando il flusso ematico mediante fenomeni di vasodilatazione e vasocostrizione, partecipando al metabolismo lipidico e regolando gli scambi di sostanze tra il sangue e lo spazio interstiziale.

Se l’endotelio viene danneggiato ad opera dei vari fattori di rischio cardiovascolari, si ha la rottura di questo equilibrio. Genera inoltre uno sbilanciamento verso la produzione di sostanze ad azione vasocostrittrice, pro-infiammatorie, pro-coagulanti e pro-aggreganti piastriniche, deleterie per l’integrità della parete vascolare.  Secondo le ultime teorie, è proprio la disfunzione endoteliale la conditio sine qua non per l’inizio del processo aterosclerotico, come ci accingiamo a vedere.

 

Come si sviluppa l’aterosclerosi?

L’aterosclerosi è un processo lento, insidioso e per molto tempo silente. Interessa lo strato più interno delle arterie di grosso e medio calibro, con formazione di depositi di materiale grasso, la placca aterosclerotica (prevalentemente costituita da colesterolo) che, restringendo progressivamente il lume vasale (stenosi), riduce il flusso sanguigno e, di conseguenza, l’apporto di ossigeno e di sostanze  nutritive agli organi che da tali arterie dipendono.

Tuttavia, non è tanto l'aumento dello spessore della placca il fenomeno più pericoloso, quanto la sua instabilità, cioè la possibilità che possa rompersi il cappuccio che la ricopre. Un simile evento determina l’attivazione del sistema della coagulazione inducendo, similmente a quanto avviene quando ci procuriamo una ferita,  la formazione di un tappo emostatico (trombo) che, pur avendo una finalità riparativa, finisce per ostruire ulteriormente e repentinamente il vaso, facendo precipitare il quadro clinico verso le manifestazioni ischemiche più acute (angina pectoris instabile, infarto miocardio, infarto intestinale, ictus ischemico).

 

Perchè le placche si rompono?

I fattori responsabili della rottura della placca sono essenzialmente due:

  • la presenza nel suo interno di cellule infiammatorie, in particolare di macrofagi, in grado di produrre enzimi capaci di sciogliere il collagene del cappuccio fibroso;
  • la presenza di un’abbondante componente lipidica.

Altro evento pericoloso è che da un trombo non ancora organizzato possa staccarsi un embolo che, trasportato dalla corrente ematica, vada a ostruire un vaso di dimensioni più piccole.

 

I fattori di rischio dell’aterosclerosi

Fino a qualche decennio fa si riteneva che l'aterosclerosi fosse un'inevitabile conseguenza dell'età e che non ci fosse altro da fare che osservarne l'evoluzione. Oggi si sa che alla base di tale patologia vi è l’azione lenta e subdola di numerosi fattori di rischio, alcuni modificabili, altri non modificabili, che ne costituiscono sinergicamente i momenti causali.

 

Quali sono i fattori di rischio non modificabili?

I fattori di rischio non modificabili sono:

  • l’età: il rischio aumenta progressivamente con l’avanzare dell’età, anche a causa dal concomitante aumento degli altri fattori di rischio;
  • il sesso: gli uomini sono più esposti alle malattie cardiovascolari a partire dei 40 anni mentre le donne, essendo protette fino alla menopausa dall’azione degli estrogeni, sono maggiormente esposte dai 50 anni in poi, circa 10 anni dopo uomini;
  • la familiarità: sebbene si sappia ancora poco su quali geni favoriscono le malattie cardiovascolari e su quali ci difendono da essi, è acquisito che la cardiopatia ischemica precoce tende a presentarsi frequentemente nello stesso nucleo familiare, per cui è importante sondare la storia familiare per conoscere eventi cardiovascolari in parenti di primo grado in età ancora giovanile (meno dei 55 anni negli uomini e di 65 anni nelle donne).
 

Quali sono i fattori di rischio modificabili?

Fattori di rischio parzialmente o completamente modificabili:

  • l’obesità;
  • la dislipidemia;
  • il diabete mellito;
  • l’ipertensione arteriosa;
  • il fumo;
  • la vita sedentaria;
  • l'elevato consumo di alcol;
  • le diete alimentari incongrue;
  • l'eccessivo consumo di sale;
  • lo stress;
  • l’insoddisfazione sul lavoro o in famiglia;
  • l’inquinamento atmosferico.
Mentre sui fattori non modificabili non vi è, ovviamente, possibilità di incidere, sui secondi è possibile farlo in maniera significativa. Un singolo fattore di rischio, ancorché rilevante, è in genere meno pericoloso della combinazione di più fattori di modesta entità che, interagendo fra loro, accrescono la loro pericolosità in modo esponenziale.
 

Come prevenire l'aterosclerosi?

È convinzione consolidata che circa il 90% di malattie cardiovascolari ha la sua causa nei fattori di rischio modificabili da cui deriva il concetto fondamentale che è possibile prevenire o rallentare una gran parte di tali malattie modificando stili di vita non corretti. Appare, quindi, sempre più evidente che, nonostante i mirabolanti progressi nella comprensione dei meccanismi patogenetici, nello sviluppo dei mezzi diagnostici e terapeutici, la vera battaglia nei confronti dell'aterosclerosi, e quindi delle malattie cardiovascolari da essa dipendenti, va condotta sul terreno della prevenzione.

Che la cosa sia possibile è dimostrato dai dati dell’American Heart Association che rivelano che dall’inizio degli anni ’80 a oggi la mortalità complessiva per cardiopatia ischemica negli USA è già significativamente diminuita.

 

Uno studio sull’efficacia della sensibilizzazione

 

Uno studio condotto su giovani soldati deceduti durante la guerra di Corea (1950-53) ha evidenziato lesioni coronariche, da lievi fino all’occlusione totale, nel 77,3% dei soggetti esaminati. Un analogo studio effettuato 17 anni dopo, durante la guerra del Vietnam, ha messo in evidenza lesioni coronariche nel 45% dei soggetti esaminati.
Una differenza significativa che attesta l’efficacia delle campagne di sensibilizzazione della popolazione nei confronti dei vari fattori di rischio per l’aterosclerosi che in quel lasso di tempo sono state condotte negli Stati Uniti.  
Il controllo dei principali fattori di rischio è ancora lontano dall’essere ottimale. Nei Paesi in cui le campagne di sensibilizzazione non sono state altrettanto efficaci di quelle statunitense, compresa l’Europa, gli eventi cardiovascolari continuano ad aumentare.

 

I livelli di prevenzione

Esistono diversi livelli di prevenzione:

  • la prevenzione primordiale, rivolta verso tutta la popolazione, mirando a evitare l’emergere o lo stabilizzarsi di quei modelli di vita che contribuiscono a innalzare il livello di rischio di malattia, inducendo ad adottarne uno il più possibile corretto (attività fisica, dieta mediterranea, mantenere il peso ideale, controllare lo stress derivante dai fattori psico-sociali, ricercare i fattori di rischio in base alla propria predisposizione famigliare);
  • la prevenzione primaria, rivolta verso chi è ancora apparentemente sano, trattando i fattori di rischio prima che si manifesti qualsiasi forma di malattia cardiovascolare, inducendo comportamenti positivi e interventi sull’ambiente di vita e di lavoro;
  • la prevenzione secondaria, rivolta verso i soggetti che hanno già segni evidenti di malattia aterosclerotica, al fine di interrompere la progressione del danno e anche di farlo regredire (possibilità, quest’ultima, negata fino a qualche decennio fa, ma ormai dimostrata in modo inconfutabile attraverso sofisticate indagini agiografiche). Strumento principale della prevenzione secondaria è lo screening (attraverso test o qualsiasi procedura) che consente nell’identificare una patologia in una fase precoce.
 

Quando si devono iniziare gli interventi di prevenzione?

Poiché è stata dimostrata attraverso autopsie di soggetti deceduti per incidenti la presenza di alterazioni aterosclerotiche già nei bambini, si va affermando il concetto che la prevenzione va iniziata prestissimo nella vita, addirittura nella vita intrauterina. Gli interventi di prevenzione di primo livello sono quelli relativi ad un approccio di popolazione, promuovendo e diffondendo informazioni sul corretto stile di vita attraverso programmi educazionali che coinvolgano tutte le strutture pubbliche cui spetta la tutela della salute: i pediatri, le scuole, ma anche l’industria alimentare e i mass media. Il basso livello di educazione sanitaria è probabilmente il maggiore dei fattori di rischio cardiovascolare, che ha chiare implicazioni sociali. Sono infatti i soggetti meno istruiti e di più basso reddito quelli con le peggiori abitudini di vita, che inevitabilmente predispongono a un aumento del tasso di mortalità cardiovascolare in generale.

Il secondo livello d’intervento preventivo è quello che mira a identificare il più presto possibile i soggetti che presentano una maggiore probabilità di sviluppare una  patologia cardiovascolare, verso i quali va  attuato un approccio individualizzato.  L’identificazione di un elevato rischio cardiovascolare in età precoce rende possibile l’attivazione di un programma di intervento in periodi ottimali, soprattutto in quelli con storia familiare positiva.
Prevenire significa anche formare nella popolazione un’idea positiva della salute come bene prezioso da difendere da ogni rischio esterno o interno all’uomo. Vastissimi studi clinici permettono di stilare linee-guida efficaci: dobbiamo imparare a prenderle in considerazione e ad applicarle correttamente, per evitare che le conclusioni a cui giunge giorno dopo giorno la ricerca siano vanificate.

 

I principali fattori di rischio dell’aterosclerosi

Fra tutti i classici fattori di rischio modificabili summenzionati, la dislipidemia, il diabete, l’ ipertensione ed il fumo sono senza dubbio i più pericolosi, tali da poter essere considerati i maggiori affluenti dell’aterosclerosi.

Conoscere come sorgono, come decorrono (a volte in modo sotterraneo) e quali danni possono produrre, singolarmente e in sinergia fra loro, è condizione essenziale per tentare di limitarne la portata e quella del rovinoso fiume che alimentano. A questi quattro argomenti sarà dedicata una trattazione un po’ più approfondita, perché riteniamo che solo la comprensione degli intimi meccanismi attraverso cui tali condizioni agiscono sulla salute può indurre la ragione di ognuno ad assumere comportamenti più corretti, secondo il principio che “solo se li conosci li puoi evitare”, che corrisponde al concetto leonardesco che “Nessuna cosa si può amare né odiare se prima non si ha cognizione di quella”.

 

La dislipidemia: il primo affluente

I lipidi, essendo sostanze insolubili nei liquidi biologici, non potrebbero circolare nel sangue e nei liquidi interstiziali se non fossero inglobati in complesse molecole denominate lipoproteine, che hanno un rivestimento esterno, costituito principalmente da proteine (apoproteine), che ne consente la circolazione nel sangue, e un nucleo interno, in cui vi sono i grassi (colesterolo e trigliceridi).

 

Quanti tipi di lipoproteine ci sono?

In base alla loro densità le lipoproteine vengono distinte in:

  • lipoproteine a bassissima densità o VLDL (Very Low Density Lipoprotein) che hanno a bordo  sia trigliceridi che colesterolo, il cui compito principale è quello di trasportare i trigliceridi dal fegato agli organi periferici, dove vengono o immediatamente utilizzati o immagazzinati come scorta energetica, fino a rimanerne quasi prive;
  • lipoproteine a bassa densità o LDL (Low Density Lipoprotein), che derivano dalle VLDL private dei trigliceridi, che contengono quasi esclusivamente colesterolo da consegnare alle varie cellule, che lo assumono attraverso recettori specifici;
  • lipoproteine ad alta densità o HDL (High Density Lipoprotein), ricche della componente proteica (Apo A-1), ma quasi prive di colesterolo: per le loro ridotte dimensioni penetrano attraverso l’endotelio e si distribuiscono ai tessuti periferici, prelevando colesterolo da tutte le cellule, comprese quelle della parete arteriosa, per ricondurlo al fegato, dove viene o eliminato attraverso la bile o riutilizzato. Questo trasporto inverso del colesterolo è il motivo per cui le HDL sono definite e  preoccupa molto un loro basso livello in circolo.
 

Cos’è la dislipidemia?

Per dislipidemia si intende un’alterazione,  quantitativa o qualitativa, delle lipoproteine. Quando si ha un'alterazione quantitativa si parla di iper-lipoproteinemia;

  • se ad aumentare sono prevalentemente lipoproteine LDL, che trasportano essenzialmente colesterolo, si può parlare più semplicemente di ipercolesterolemia;
  • se ad aumentate sono prevalentemente le VLDL, che  trasportano essenzialmente trigliceridi,  si può parlare più semplicemente di ipertrigliceridemia;
  • se sono aumentate entrambe le succitate lipoproteine, si può parlare di iperlipidemia combinata o mista.
 

Quali sono le cause della dislipidemia? 

Anche un basso livello di HDL, per i motivi suesposti,  è considerato dislipidemia. La causa delle dislipidemie può essere:

  • prevalentemente genetica o primaria, se per una carenza genetica dei recettori per le LDL è ridotta l’assunzione del colesterolo da parte delle cellule, per cui rimane in circolo;
  • prevalentemente acquisita, se secondaria a cause non genetiche: processi patologici (diabete mellito, ipotiroidismo, sindrome nefrosica, epatopatie ostruttive), fattori dietetici (alimentazione ipercalorica, dieta a elevato contenuto di grassi saturi e colesterolo, abuso di alcol), assunzione di farmaci (steroidi, estrogeni, diuretici tiazidici, beta-bloccanti, interferone, progestinici, androgeni).
 

Quando il colesterolo diventa pericoloso per la salute?

Il colesterolo ha assunto nel mondo moderno una connotazione estremamente negativa, venendo associato a situazioni negative per la salute. Invece, di per sé, non è così . È anzi, indispensabile alla vita: è un costituente essenziale delle membrane cellulari; è utilizzato dall’organismo per sintetizzare la mielina (una sostanza che protegge i nostri nervi), per la sintesi degli ormoni sessuali e surrenalici, della vitamina D (ad opera dell’azione del sole sulla nostra pelle), degli acidi biliari (necessari per l'assorbimento intestinale dei grassi e delle vitamine liposolubili).

Talmente indispensabile che le cellule ne hanno una doppia via di approvvigionamento: attraverso gli alimenti animali (i vegetali non ne contengono) oppure da esse stesse sintetizzato. Diventa pericoloso per la salute soltanto quando trasportato dalle LDL circola in eccesso nel sangue.

 

Quali sono i valori ottimali per il colesterolo?

I valori del colesterolo-LDL circolante considerati ottimali non sono fissi, ma sono correlati al rischio globale, cioè dalla presenza o meno di altri fattori di rischio (concetto che vedremo in seguito).

Per un soggetto giovane, non obeso, non fumatore e non iperteso possono essere tollerati livelli pari a 160 mg/dl, mentre lo stesso soggetto, con le caratteristiche generali prima descritte, ma con valori pressori superiori a 140/90 mmHg e modesto fumatore (10-15 sigarette al dì), il livello di colesterolo LDL dovrebbe essere inferiori a 130 mg/dl.  In prevenzione secondaria, cioè in pazienti già affetti da vasculopatia aterosclerotica, i livelli di colesterolo LDL non dovrebbero essere superiori a 100 mg/dl.
È considerato desiderabile:

  • un rapporto colesterolo LDL/colesterolo-HDL inferiore a 2,5;
  • un rapporto colesterolo totale/colesterolo-HDL inferiore a 3,5.
 

Cosa causa il colesterolo alto?

Quando una cellula non ha bisogno per i suoi processi metabolici di ulteriore colesterolo, riduce la formazione  dei recettori per le LDL. In pratica è come se chiudesse i cancelli, per cui il colesterolo assunto con gli alimenti, non potendo entrare per essere utilizzato, continua a circolare nel sangue, aumentando di livello.

Infatti il metabolismo lipidico ruota in buona parte intorno alla funzione recettoriale: chi ha la fortuna di avere una buona dotazione genetica di recettori per le LDL, potrà pasteggiare tutti i giorni a fois gras, mentre chi ha carenza di tali strutture dovrà stare molto attento all’alimentazione e avrà per tutta la vita il “problema colesterolo”.

 

In che modo l’eccesso di colesterolo-LDL è rischioso per l’aterosclerosi?

Che un eccesso di colesterolo-LDL circolante sia un fattore di rischio importante, probabilmente il più importante, per l’insorgenza dell’aterosclerosi è dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio da questi dati:
  • l'incidenza delle malattie cardiovascolari nelle diverse popolazioni è proporzionale al livello medio del colesterolo;
  • è possibile indurre sperimentalmente l'aterosclerosi in animali (conigli, maiali) con un'alimentazione ricca in grassi saturi;
  • l'ipercolesterolemia familiare omozigote, un’alterazione genetica caratterizzata da scarsissimi recettori per le LDL e quindi da altissimi livelli di colesterolo, determina la morte per infarto prima dei vent'anni.
 

Come si forma la placca aterosclerotica?

Da Virchow (1856) in poi si sono succedute varie ipotesi. Quella comunemente accettata prevede una cascata di eventi:

  • da parte delle cellule endoteliali che rivestono la parete interne delle arterie vengono captate, attraverso uno specifico recettore di membrana (lo scavenger receptor LOX-1), lipoproteine LDL ossidate e modificate, diventando piccole e dense),):
  • l’ingresso di tali lipoproteine causa una disfunzione endoteliale a causa della quale accade che l’endotelio diventi più permeabile all’ingresso delle lipoproteine modificato, che si accumulano sotto l’endotelio, e nello stesso tempo produca fattori chemiotattici che hanno la proprietà di attirare globuli bianchi (monociti e linfociti T);
  • le lipoproteine, dai macrofagi (cellule come corpi estranei, le lipoproteine ossidate vengono fagocitate dai macrofagi, (cellule derivanti dai monociti precedentemente migrati attraverso la parete) che, infarcite di lipoproteine, divengono cellule schiumose (foam cells); 
  • a un certo livello di infarcimento le cellule schiumose scoppiano, spargendo intorno sostanze infiammatorie e fattori di crescita che innescano una complessa risposta infiammatoria/immunitaria (sostenuta da citochine e linfociti T) tipica del processo aterosclerotico;
  • la liberazione di fattori di crescita inducono la proliferazione delle fibrocellule muscolari lisce della parete delle arterie e una loro migrazione dalla tonaca media all’intima;
  • l’ispessimento dell’intima è ulteriormente accresciuta dall’attrito  della corrente sanguigna sulla superficie vasale (stress emodinamico), particolarmente accentuato in corrispondenza delle ramificazioni e delle curvature dei vasi, sedi che risultano particolarmente predisposte allo sviluppo delle lesioni aterosclerotiche;  
  • infine, a rendere maggiormente ostruente la lesione, interviene la formazione di trombi intramurali per l’adesione delle piastrine sull’intima denudata.
 

Chi è maggiormente a rischio?

Visto il ruolo centrale dell'ossidazione da parte dei radicali liberi delle lipoproteine LDL, ne deriva che è maggiormente protetto chi ha un più efficace sistema antiossidante. Se questo è carente, come capita per esempio ai fumatori che “bruciano” le vitamine  antiossidanti o a chi ha un’alimentazione poco corretta (con scarsa assunzione di antiossidanti) anche un livello normale di colesterolo può risultare pericoloso.

Viene, pertanto, sottolineata, ancora una volta, l'importanza dell'alimentazione, responsabile da un lato (almeno in parte) del livello delle lipoproteine circolanti e, dall'altro, del livello degli antiossidanti che, neutralizzando i nefasti radicali liberi, dovrebbero proteggerci anche dall'eccessiva ossidazione delle lipoproteine.

 

Trigliceridi e aterosclerosi

Sempre nuove ricerche mettono sotto la lente d’ingrandimento anche i livelli dei trigliceridi e del colesterolo HDL nella convinzione che un approccio totale alla gestione del profilo lipidico può consentire un ulteriore, significativo passo avanti nella prevenzione cardiovascolare. Uno studio finlandese su 22 mila persone seguite per più di 8 anni, ha dimostrato chiaramente come alti livelli di trigliceridi sono significativamente correlati con un più elevato rischio cardiovascolare, indipendentemente dalla presenza di altri fattori di rischio classici. Un alto livello di trigliceridi è spesso associato a un ridotto valore di HDL

 

Cosa provoca l'aumento dei trigliceridi?

Responsabili di un simile profilo lipidico sono:

  • l’obesità e il sovrappeso;
  • la sedentarietà;
  • il fumo di sigaretta;
  • l’abuso di alcol;
  • una dieta ricca di carboidrati (superiore al 60% dell’introito energetico totale);
  • alcune patologie, quali il diabete mellito tipo 2, l’insufficienza renale cronica, la sindrome nefrosica;
  • alcuni farmaci, quali i corticosteroidi, gli estrogeni, alte dosi di beta-bloccanti;
  • malattie genetiche: quali la dislipidemia mista familiare, l’ipertrigliceridemia famigliare.
 

Quando i valori sono preoccupanti?

I valori dei trigliceridi si possono distinguere in:

  • livello normale: inferiore a 150 mg/dl;
  • livello borderline-alto: tra 150 a 199 mg/dl;
  • livello alto: tra 200 a 499 mg/dl;
  • livello molto alto: superiore a 500 mg/dl.
 

Come si riducono i trigliceridi nel sangue?

Mentre nelle forme genetiche una dieta, anche molto attenta, può soltanto ridurre di poco il livello ematico dei trigliceridi, nei casi secondari dovuti a errori alimentari è possibile normalizzarlo in tempi relativamente rapidi con una dieta dimagrante e una regolare attività fisica.

 

Alzare i valori di HDL riduce il rischio di malattie cardiovascolari?

Poiché, nonostante la riduzione anche significativa del colesterolo-LDL e dei trigliceridi con le procedure attualmente disponibili (modificazione degli stili di vita e farmaci ipolipemizzanti), rimane un residuo rischio cardiovascolare, l’attenzione dei ricercatori si è spostata verso strategie che considerino l’innalzamento delle lipoproteine HDL come nuovo obiettivo, nella prevenzione sia primaria che secondaria delle malattie cardiovascolari.

Diversi studi epidemiologici hanno dimostrato che, bassi livelli di HDL, sono un fattore di rischio indipendente per malattie cardiovascolari ipotizzando che, oltre al già magnificato trasporto inverso di colesterolo, queste lipoproteine producano un effetto anti-ossidante, anti-infiammatorio e anti-trombotico. È ritenuto accettabile un valore di HDL superiore a 40 mg/dl per gli uomini e superiore a 50 mg/dl per le donne.

Soggetti con valore di HDL inferiore a 35 mg/dl hanno un rischio di malattie cardiovascolari 8 volte superiore a coloro che hanno un colesterolo HDL superiore a 65 mg/dl. La causa di bassi livelli di HDL può essere:

 
  • l’insulino-resistenza;
  • l’ipertrigliceridemia;
  • il sovrappeso e l’obesità;
  • la sedentarietà;
  • il diabete mellito tipo 2;
  • il tabagismo;
  • una dieta particolarmente ricca di carboidrati (superiore al 60% delle calorie totali);
  • alcuni farmaci come i beta-bloccanti, gli steroidi anabolizzanti, i progestinici;
 

Come alzare il colesterolo HDL?

La strategia per innalzare il livello di HDL prevede:

 
  • l’esercizio fisico aerobico costante;
  • la cessazione del fumo;
  • il calo ponderale;
  • una moderata assunzione di alcol;
  • una dieta ricca di acidi grassi polinsaturi.

 

Cosa mangiare per prevenire malattie cardiovascolari?

Le linee guida dietologiche approvate dall’American Heart Association (AHA), la più alta autorità mondiale in campo cardiologico, volte alla prevenzione delle malattie cardiovascolari, sono incentrate essenzialmente sulla riduzione del livello del colesterolo, sono cioè, secondo due livelli di intervento.

Un primo livello, rivolto alla popolazione generale, prevede (nel tentativo di portare il livello di colesterolo  totale a 180-200 mg/dl), che tutti gli individui, a partire dai due anni di età, non assumano una quantità di grassi superiore al 30% delle calorie totali giornaliere (con un 10% di grassi saturi, un 7-8% di grassi insaturi, in parte derivanti dal pesce, e la restante percentuale di grassi monoinsaturi) e che l’assunzione del colesterolo non superi i  300 mg al giorno negli adulti e i 100 mg per 1000 Kcal nei bambini.

Un secondo livello, rivolto a chi già presenta una patologia cardiovascolare, prevede un’ulteriore riduzione di assunzione di grassi saturi, non superiore al 7% delle Kcal giornaliere, e di colesterolo, non superiore ai 200 mg al giorno, nel tentativo di raggiungere un tasso di colesterolo-LDL ematico al di sotto dei 130 mg/dl. È evidente la difficoltà di impostare e seguire un regime alimentare così rigido e complicato nella sua costruzione, confermata dalla scarsa adesione di cui gode. A tale impostazione dietetica, che pone ossessivamente il colesterolo al centro delle raccomandazioni alimentari, se ne va contrapponendo un’altra più umana, più facile da comprendere e da attuare, che, per di più, ha dimostrato di ottenere migliori risultati nel rallentare la progressione di una patologia cardiovascolare già in atto.


Dieta e colesterolo: una ricerca dell’American Heart Association

Una rivoluzione simile a quella di Niccolò Copernico (1473-1543), famoso astronomo polacco, che portò all’affermazione dell’ eliocentrismo (il Sole al centro del Sistema solare) in contrapposizione al geocentrismo (la Terra al centro del sistema solare) allora imperante. Hanno contribuito a questa, i dati emersi dal QLyon Diet Heart Study, un’indagine condotta dalla stessa American Heart Association, che aveva come obiettivo di confrontare in pazienti che avevano già superato un infarto la capacità di ridurre il ripetersi di un evento cardiaco, sostituendo la dieta di primo livello proposta dall’American Heart Association con una dieta tipo mediterraneo.

I risultati sono stati che nel gruppo si sono verificati solo 14 nuovi infarti, contro i 44 del gruppo di controllo, con una riduzione di tutti gli eventi collegati a una progressione della patologia cardiovascolare (angina instabile, ictus, scompenso cardiaco, embolia polmonare e periferica) tra il 50 e il 70%.

È stato ritenuto plausibile attribuire tali stupefacenti risultati all’intervento dietetico, essendo rimasti i profili di rischio e le terapie del tutto simili nei due gruppi. Facendo i calcoli è risultato che la dieta di tipo mediterraneo conteneva in media il 30% di grassi e 203 mg di colesterolo: una quantità di lipidi non dissimile da quella raccomandata per il secondo livello consigliata dall'American Heart Association. Ma è la qualità dei lipidi introdotti che era diversa.

Sta emergendo, quindi, il concetto dei cosiddetti nutrienti positivi la cui carenza nell’alimentazione gioca un ruolo altrettanto importante dei nutrienti negativi, finora quasi unicamente considerati nella prevenzione del rischio cardiovascolare. Questo studio ha dimostrato che, nell’impostazione di una dieta protettiva dalle patologie cardiovascolari, è sì importante la riduzione del colesterolo, ma è altrettanto importante il ruolo di altri elementi, ancora non del tutti noti, che attivano meccanismi protettivi sinergici di cui certamente è ricca la dieta mediterranea.

A conferma dei nuovi concetti dietetici e dell’aria di liberalità che sta pervadendo le diete nell’ultimo meeting dell’American College of Cardiology tenutosi a Chicago, sono stati , proprio da parte di alcuni cardiologi americani,  due cibi finora temuti per il loro effetto ingrassante e pro-colesterolo: le uova (anche uno o due al giorno) ricchi di preziosi principi nutritivi, e il cioccolato fondente, considerato addirittura un vero toccasana, purchè  in quantità limitata.

 

Il cioccolato fondente fa bene al cuore?

Una buona notizia per i golosi: il cibo degli Dei per eccellenza, si propone come un alimento potenzialmente in grado di esercitare un effetto protettivo nell’uomo.

Effetto protettivo sulla funzionalità cardiovascolare che si esplica attraverso la riduzione dell’aggregazione piastrinica, dello stress ossidativo, della pressione sanguigna, dei mediatori dell’infiammazione, della resistenza insulinica e attraverso il migliorando della funzione endoteliale (con un’aumentata vasodilatazione e un incremento cronico della produzione di ossido nitrico) e l’aumento dei livelli di colesterolo HDL.  

I semi di cacao hanno un elevato contenuto di flavonoidi (pigmenti vegetali gialli, rossi e blu molto importanti come sistema di ossido-riduzione, accettori di idrogeno) e altri polifenoli, un gruppo eterogeneo di molecole che rendono il cioccolato uno degli alimenti con maggiori proprietà antiossidanti.

Sono stati anche riconosciuti al cioccolato dei requisiti psicosensoriali: al ruolo tonificante contribuiscono, oltre alle teobromina (un alcaloide imparentato con la caffeina), alcune sostanze chimiche capaci di interferire positivamente sui neurotrasmettitori cerebrali, influenzando l’umore e il senso di gratificazione dei consumatori. Più la cioccolata è amara più alta è la concentrazione di cacao e quindi di flavonoidi. Bocciato invece il cioccolato al latte, il quale interferisce con l’assorbimento dei polifenoli.

Anche per il  cioccolato, come per qualsiasi altra sostanza, è la “dose che fa il veleno”. Non serve abbuffarsi: si parla di un consumo moderato (6-7 g di cioccolato al giorno), che corrisponde ad un quadratino 2-3 volte la settimana.

Pur essendo un alimento grasso non tende ad alzare il tasso di colesterolo perché  l’acido stearico, il grasso presente in maggiore quantità, è relativamente neutro in tal senso e perché i fitosteroli, steroli vegetali in esso contenuti,  hanno un effetto competitivo sui recettori per il colesterolo assunto con gli alimenti di origine animale, riducendone l’assorbimento.


Bibliografia

 
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