A fronte degli indubbi benefici che le statine hanno prodotto sulla prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari, negli ultimi anni alcune voci si sono levate sulla reale efficacia di queste molecole e sui possibili effetti collaterali derivanti da una loro assunzione a lungo termine. 

Durante l'ultimo congresso dell'American Heart Association (novembre 2014) tenutosi a Chicago, il tema è stato ripreso da più relatori. Uno degli interventi più interessanti sull'argomento è stato quello del Dr. Chris Packard (Università di Glasgow, Scozia), il quale ha dichiarato che una riduzione della colesterolemia per soli cinque anni nei soggetti di età media con elevato LDL sarebbe in grado di ridurre i rischi di eventi cardiaci e di morte per le decadi successive, "per tutto il resto della vita".

Questi risultati sono desunti da alcune osservazioni fatte sul WOSCOPS (West of Scotland Coronary Prevention Trial), studio di prevenzione primaria iniziato nel 1989 per una durata eccezionalmente lunga (20 anni) con una statina (pravastatina), su una popolazione di 6600 uomini di età compresa fra 45 e 64 anni con un colesterolo-LDL medio di 190.
Al termine del trial il rischio di morte cardiovascolare e di infarti non fatali si era ridotto del 27%, rispetto al gruppo di controllo, tra i soggetti trattati con la statina.
Nel presentare i suddetti risultati durante il congresso dell'American Heart Association 2014, il Dr. Chris Packard ha dunque evocato la possibilità di un "beneficio a vita" tra i soggetti trattati con statina per soli cinque anni.

Nel commentare la relazione di Packard il Dr. Harvey White (Auckland, Nuova Zelanda) ha ipotizzato un "rallentamento della progressione della malattia e/o una stabilizzazione della placca ateromasica coronarica" dovute al fatto che i pazienti arruolati a suo tempo nel WOSCOPS erano stati trattati ad un'età media più giovanile (55 anni) rispetto a quella di soggetti inclusi in studi precedenti, cioè in una fase della patologia in cui la placca non era ancora calcificata, quindi suscettibile di essere modificata e stabilizzata.

Il Dr. White ha fatto anche alcune interessanti considerazioni sugli effetti pleiotropici delle statine, ipotizzando tra l'altro che esse possano modificare l'espressione di alcuni geni correlati alla patofisiologia della placca stessa.
Infine, il relatore ha ribadito, sulla base dei numerosi studi condotti, l'assenza di effetti collaterali severi, soprattutto tumori, nei trattamenti a lungo termine con queste molecole.