Come siamo diventati sedentari?

La condizione fisica dell'uomo moderno è peggiore di quella dell'uomo delle epoche passate, essendo molto aumentato il grado di sedentarietà. Per millenni l’efficienza fisica ha rappresentato una necessità per procurarsi il cibo cacciando, per sfuggire alle situazioni di pericolo, per lavorare i campi, per lavorare nelle officine. La sopravvivenza era strettamente collegata alle proprie capacità fisiche, poiché vigeva la legge del più forte e, in ogni caso, era prevalente la componente di fisicità nel vivere quotidiano.

A partire dal XIX secolo, con l’avvento della società industriale e, ancora di più, di quella post-industriale, l’efficienza fisica è diventata sempre meno importante. Assistito da una tecnologia sempre più sofisticata in ogni momento della giornata, l’uomo moderno ha impiegato sempre minore fatica fisica per lo svolgimento delle varie attività, lavorative ed extralavorative.
 

Illustrazione 1 - Dietologia


Con la sempre più larga migrazione dalle zone rurali a quelle urbane di larghe fasce di popolazione, questo fattore di rischio è destinato ad aumentare progressivamente.

Nella letteratura scientifica numerose sono le dimostrazioni che uno stile di vita sedentario è un importante fattore di rischio per lo sviluppo di numerose patologie, sempre più diffuse nella nostra società, e per una precoce involuzione da disuso di organi e apparati, che va a sommarsi al fisiologico decadimento dovuto al passare del tempo. Infine, è noto che i soggetti sedentari vanno più facilmente incontro ad ansia e depressione, fattori pesantemente implicati nella patogenesi e nella prognosi delle malattie cardiocircolatorie.

Per contro, sono scientificamente descritti gli effetti favorevoli dell’attività fisica nel migliorare il profilo di rischio cardiovascolare, attraverso una riduzione significativa dei più importanti fattori di rischio (eccedenza ponderale, dislipidemia, diabete mellito, ipertensione), con una riduzione di altre malattie croniche quali l’osteoporosi, l’artrosi, alcune neoplasie, la depressione. Ulteriore fattore positivo dell’abitudine all’attività fisica regolare è la sua frequente associazione con altri stili di vita salubri, come il non fumare, il seguire una dieta corretta, il limitarsi nell’uso dell’alcol.

 

Quanto è importante l’esercizio fisico?

Questi i motivi per cui l’esercizio fisico si propone come mezzo preventivo e terapeutico fisiologico, efficace e a basso costo, ed è altamente auspicabile che sia mantenuto in tutte le fasi della vita per conservare il più possibile un buon trofismo muscolare, per avere un controllo del proprio corpo, un equilibrio sul proprio peso corporeo, un’immagine migliore di se stessi; tutte cose che si traducono in una migliore la qualità della vita e in una vecchiaia autonoma, libera dalla umiliante dipendenza dagli altri.

Le prime osservazioni dell’associazione sedentarietà-danno alla salute risalgono agli anni Cinquanta, quando in Inghilterra uno studio osservazionale mise in evidenza che gli impiegati meno sedentari avevano un’incidenza di cardiopatie ischemiche e di infarto di gran lunga inferiore rispetto agli impiegati più sedentari.

 

La consapevolezza si fa strada

Dopo decenni di assoluta indifferenza (si pensava addirittura che l'esercizio fisico avesse effetti deleteri sulla salute, determinando un precoce invecchiamento e un accorciamento della vita), si sta facendo finalmente strada nella coscienza popolare la consapevolezza che l'attività fisica è in grado di migliorare l'esistenza sotto molteplici aspetti.

Raggiunto un certo benessere economico e risolti i problemi vitali, molta gente aspira al benessere fisico, inteso non tanto come stato di non malattia, quanto come desiderio di sentirsi bene nella propria pelle, di essere in sintonia col proprio corpo. Il culto della propria immagine è un fenomeno in continua espansione, come testimonia il proliferare di centri di estetica, di cliniche della salute, di palestre sempre più attrezzate e il rapido diffondersi di pubblicazioni che, dietro copertine patinate e bellissime immagini, sotto titoli ammiccanti, lasciano intravvedere la possibilità di una soluzione ad ogni problema estetico, dettando i nuovi canoni.

I rapporti tra aspetto fisico e sviluppo della personalità sono complessi, ma non vi è dubbio che la gratificazione estetica sia una componente essenziale per un buon equilibrio psicologico. Parallelamente alla maggiore richiesta di cultura, questa attenzione al proprio corpo rivela una positiva tendenza verso un'espressione umana globale, coltivando sia il corpo che lo spirito. Niente di nuovo sotto il sole, ovviamente: non si fa altro che riscoprire quanto già largamente praticato nell’antichità classica greco-romana.

 

L’esasperata costruzione del proprio corpo

Motivazioni un pò meno interiori spingono tuttavia molte persone (di entrambi i sessi, ma con una certa prevalenza di quello maschile) ad esasperare la costruzione del proprio corpo, non tanto per se stessi quanto per gli altri, per proporsi quali oggetti da ammirare.

In costoro lo spirito non è molto coinvolto e l’apparire è più importante dell’essere. La loro più viva, inebriante, sebbene fugace, gratificazione, che compensa mesi e mesi di duro lavoro, sta nel cogliere (soprattutto in estate, la loro stagione-vetrina) negli sguardi degli altri l'ammirazione (o l'invidia, a seconda di chi guarda) per il loro addome piatto, per i loro glutei alti e sodi, per le loro gambe muscolose e i loro pettorali gonfi. Il tutto naturalmente indorato da una perfetta abbronzatura.

Tuttavia il desiderio di avvicinarsi il più possibile a modelli oggettivamente lontani dalle proprie potenzialità genetiche, induce molti di costoro a ricorrere a qualsiasi mezzo. Anche all’uso di sostanze chimiche che, favorendo la sintesi proteica, facilitano l'ipertrofia della massa muscolare. Poiché il consumo di tali sostanze è in continuo aumento (anche attraverso il mercato nero o Internet) è presumibile che chi ne fa uso non sia consapevole dei rischi a cui si espone.

 

Perché gli anabolizzanti fanno male?

Ci riferiamo in particolare agli anabolizzanti, steroidi derivati sintetici del testosterone, il più importante ormone maschile. L'assunzione cronica di tali sostanze, in dosi molto più elevate di quelle consigliate a scopo terapeutico, può determinare danni all’integrità biologica del soggetto, a breve e a lungo termine, agendo a vari livelli:

 
  • altera il metabolismo lipidico in modo persistente, anche per molti mesi dopo la sospensione;
  • esalta la produzione di eritropoietina, un ormone prodotto dai reni che stimola la formazione dei globuli rossi, per cui aumenta la massa sanguigna circolante, aumentando la pressione arteriosa, la densità del sangue, il pericolo di ictus;
  • aumenta l'aggregazione piastrinica e quindi la predisposizione alle trombosi;
  • inibisce le gonadotropine ipofisarie (gli ormoni che regolano la funzione delle gonadi), con la conseguenza che viene ridotta la produzione di testosterone (l'anabolizzante naturale), il volume dei testicoli, la fertilità e la potenza sessuale (che di peggio per aspiranti supermaschi?);
  • facilita la calcolosi della colecisti e c’è il sospetto che induca adenomi, tumori e peliosi (formazione di cisti ripiene di sangue) epatiche e ittero;
  • modifica la personalità, con tendenza all'aggressività e alla dipendenza verso queste sostanze, simile a quella verso le droghe;
  • deprime il sistema immunitario e quindi l’efficienza delle difese organiche;
  • crea una discrepanza tra muscoli ipertrofizzati e legamenti e tendini, che invece non risentono di tale effetto, aumentando la predisposizione agli infortuni;
  • facilita l’insorgenza di acne.
 

Per le donne che si avventurano su questa scivolosa strada (ce ne sono), gli effetti indesiderati sarebbero ovviamente più marcati, essendo più evidenti i segni dell’androgenizzazione, quali:

 
  • irsutismo (aumento di peluria in zone normalmente glabre);
  • modificazione del timbro vocale;
  • calvizie di tipo androgenico;
  • seborrea (pelle grassa);
  • acne;
  • irregolarità mestruali;
  • atrofia delle mammelle;
  • eccesso di libido.
Al di là di ogni considerazione etico-sportiva (visto che ci riferiamo a soggetti non impegnati agonisticamente), il bilancio tra discutibili vantaggi estetici e probabili effetti deleteri sulla salute dovrebbe consigliare ai costruttori del proprio corpo di non preoccuparsi solo della facciata, ma anche degli interni che, sebbene non appaiano, sono certamente più importanti.
 

Qual è la fisiologia del movimento?

Il muscolo è caratterizzato dalla proprietà di trasformare, una volta attivato da uno stimolo nervoso, l’energia chimica, derivante dalla metabolizzazione dei nutrienti, in energia meccanica, che si esprime come forza o come movimento. Le unità funzionali del muscolo sono le fibre muscolari, cellule cilindriche nel cui interno si trovano le miofibrille formate da proteine contrattili, che in risposta ad uno stimolo nervoso producono una contrazione muscolare. Le fibre muscolari si distinguono in:
 
  • rosse o lente o di tipo 1, ricche di mitocondri (gli organelli cellulari dove si forma l'energia), di mioglobina (la proteina contenente ferro, responsabile del colore rosso, che fissa l'ossigeno con un'affinità sei volte superiore a quella dell'emoglobina) e sono riccamente vascolarizzate. Per queste caratteristiche sono adatte agli esercizi di lunga durata di tipo aerobico, di resistenza. Ottengono la loro energia soprattutto dai lipidi e sono più rappresentate nei muscoli in cui è richiesto un impegno notevole e prolungato, ma sono meno impegnati in scatti improvvisi;
  • pallide o rapide o di tipo 2, che hanno, invece, pochi mitocondri, poca mioglobina, scarsa vascolarizzazione, caratteristiche che le rendono adatte a prestazioni di breve durata di tipo anaerobico, di potenza. Sono soprattutto rappresentate nei muscoli cui si richiede una potenza intensa ma di breve durata e utilizzano gli zuccheri come sorgente preferenziale di energia per l’attività.
 

La percentuale dei due tipi di fibre è diversa da un individuo ad un altro, determinando l'attitudine verso le diverse attività sportive.

La contrazione muscolare è definita:

 
  • isotonica (o dinamica) se produce un reale accorciamento del muscolo, essendo la sua forza superiore al carico applicato agli estremi del muscolo; l’esercizio dinamico (corsa di fondo, ciclismo, maratona ecc) è caratterizzato da cambiamenti della lunghezza muscolare con ritmiche contrazioni, che sviluppano una forza muscolare relativamente modesta, e da movimenti articolari ampi.
  • isometrica (o statica) se non determina un accorciamento muscolare, essendo il carico applicato agli estremi del muscolo pari o superiore alla forza sviluppata. L’esercizio statico, come il sollevamento pesi, richiede una notevole forza muscolare con piccole o assenti variazioni di lunghezza muscolare e minime escursioni articolari. 
 
Illustrazione 2 - Dietologia

Durante l'attività fisica, i muscoli convertono il combustibile immagazzinato (glicogeno e trigliceridi) in energia cinetica e calore con un processo simile a quello di un motore a scoppio, in cui l'energia chimica (il combustibile) viene trasformata in energia meccanica. L’energia utilizzata dal muscolo per contrarsi, come per qualsiasi altro processo metabolico che avviene nell’organismo, proviene dagli alimenti, cioè dagli zuccheri, dai lipidi e dalle proteine, che giornalmente introduciamo. Il muscolo è capace di aumentare il proprio consumo di circa 300 volte, passando dallo stato di riposo a quello di attività.

La metabolizzazione di queste sostanze (metabolismo intermedio), sviluppa energia chimica non utilizzata dal muscolo per contrarsi, ma per la formazione a livello dei mitocondri (la centrale elettrica della cellula) di adenosina-trifosfato o ATP, una molecola che contiene tre legami fosforici ad alto potenziale energetico. La scissione di uno di questi tre legami fosforici, ad opera dell’enzima ATP-asi, libera la vera energia finale, l’unica ad essere utilizzata da tutte le cellule dell’organismo (trasformando l'adenosina-trifosfato in adenosina-difosfato ADP).

Tuttavia, l'ATP è presente nelle cellule muscolari in quantità limitata, per cui si esaurirebbe in pochi secondi, impedendo qualsiasi movimento se non fosse continuamente ricostituito. A ciò provvede un altro composto fosforilato, il creatin fosfato (CP) o fosfocreatina, che cede il suo fosfato terminale all’ADP, ritrasformandolo in ATP. Ma anche questa reazione è limitata dalla scarsa quantità della fosfocreatina, consentendo solo un'ulteriore attività di 5-10 secondi.

 

Attività aerobiche e anaerobiche

 

Nei successivi 40-50 secondi, viene utilizzata l'energia prodotta dalla degradazione del glucosio circolante e del glicogeno muscolare ed epatico, che avviene in assenza di ossigeno (e per questo detta glicolisi anaerobica), con la produzione di acido lattico, una scoria che interferisce con l'efficiente funzionamento dei muscoli, una delle cause della fatica. I prodotti acidi della glicolisi anaerobica (lattato) inibiscono il turnover di ATP, cosa che determina un rallentamento del metabolismo, in modo che gli H+ possano essere allontanati dalla zona di produzione. Finalisticamente, questo meccanismo può essere inteso come un sistema protettivo nei riguardi del muscolo contro l’acidità o l’eccesso di lavoro.

Questo meccanismo energetico, detto anche anaerobico lattacido, gioca un ruolo essenziale nelle corse dei 400 e 800 metri e negli sport di squadra. I meccanismi energetici finora descritti avvengono in assenza di ossigeno e sono perciò detti anaerobici: possono sviluppare una potenza elevata in un tempo ridotto perché utilizzano substrati endocellulari a pronta disponibilità, ma la loro scarsità condiziona notevolmente la durata dell’attività, utile soltanto come supporto di breve termine.

L’inizio di ogni attività è comunque sempre di tipo anaerobico, essendo necessario un certo periodo di tempo perché il microcircolo si adegui alle accresciute esigenze energetiche delle cellule muscolari, apportando una maggiore quantità di ossigeno e di substrati energetici (zuccheri, lipidi e, in alcuni casi protidi). Una volta che ciò è avvenuto, iniziano i processi aerobici, così detti in quanto la combustione di substrati energetici apportatrice di nuova energia (scientificamente definita fosforilazione ossidativa mitocondriale) avviene nei mitocondri solo in presenza di ossigeno.

Qualora la potenza richiesta non sia eccessivamente elevata e il dispendio energetico sia commisurato all’apporto di ossigeno, le reazioni aerobiche possono durare per periodi molto lunghi, non essendoci limite all’arrivo di ossigeno. Il metabolismo aerobico fornisce meno potenza di quello aerobico, ma può sostenere sforzi di durata molto più lunga. Esempi di attività aerobiche, o di resistenza, sono la maratona, lo sci di fondo, il ciclismo, le corse su distanze superiori agli 800 metri, il nuoto in gare superiori ai 200 metri. 

Se l’intensità dell’esercizio, invece, supera un determinato livello tanto che l’apporto di ossigeno a livello muscolare non aumenta in proporzione alle richieste, si ha nuovamente uno spostamento verso la via anaerobica, con conseguente accumulo di acido lattico. Se, per esempio, andando in bicicletta si affronta una salita oppure si fa uno sprint, l’ossigeno disponibile non è più sufficiente per soddisfare aerobicamente la richiesta energetica dei muscoli, si passa alla fase anaerobica con formazione di acido lattico. L’acido lattico è continuamente generato ma in presenza di nuovo ossigeno è anche continuamente smaltito. Se ciò non avviene, il suo accumulo produce senso di pesantezza e dolore muscolare (crampi), costringendo obbligatoriamente alla sospensione dell’attività muscolare.  

Le attività sportive possono essere classificate in tre grandi gruppi:

 
  • aerobiche o dinamiche a impegno cardiovascolare costante, caratterizzate da gesti semplici quali: camminare, pedalare, nuotare, corsa all’aperto o su tapis roulant, ciclismo, jogging, pattinaggio, sci di fondo, canoa, aerobica; si tratta di attività nelle quali i muscoli, quando l’attività è lieve-moderata (inferiore al 50-60% del massimale); utilizza in prevalenza l’energia liberata dai lipidi, mentre, per intensità superiori, il substrato preferenziale è rappresentato dai carboidrati (glicogeno). Da un punto di vista cardiocircolatorio, esse sono caratterizzate da un incremento della frequenza cardiaca proporzionata all’intensità dello sforzo e una prevalente vasodilatazione periferica, con modesto o nessun aumento della pressione arteriosa media.
  • attività miste a impegno cardiovascolare intermittente, caratterizzati da gesti più complessi, più difficili da dosare: tennis, calcio, golf, tennis da tavolo, squash, basket, rugby (in genere tutti gli sport di squadra), Aerobic Circuit Training, Interval Training;
  • attività anaerobiche o statiche o di potenza, caratterizzate da un impegno cardiocircolatorio prevalentemente di tipo pressorio, da non considerare di prima scelta ai fini della prevenzione cardiovascolare: sollevamento pesi, sci alpino, body building. I muscoli utilizzano fosfocreatina e solo in parte i carboidrati, attraverso la glicolisi anaerobica con produzione di acido lattico. La risposta cardiocircolatoria è caratterizzata da un’importante elevazione della pressione arteriosa media, dovuta all’aumento delle resistenze vascolari periferiche, che se pur di breve durata può essere dannosa nei pazienti ipertesi e/o con patologia dell’aorta.

L’allenamento da una parte aumenta la concentrazione degli enzimi del metabolismo ossidativo a livello muscolare, dall’altra, attraverso l’aumento dei capillari, facilita lo smaltimento dell’acido lattico. L'organismo sceglie uno o l'altro dei metodi di produzione dell'energia a seconda dell'intensità dell'attività fisica, che varia a seconda dello sport praticato e della durata. L'utilizzo preponderante dell'uno o dell'altro nutriente (zuccheri o lipidi) dipende, oltre che dall’intensità e dalla durata dell’esercizio fisico, anche dai muscoli impiegati. Alcuni lavorano in modo aerobico e possono usare come combustibili sia i grassi sia i carboidrati; altri in modo anaerobico utilizzando soltanto i carboidrati.

Se si svolge un esercizio regolare, senza sottoporsi a sforzi brevi e intensi, il carburante che viene consumato è una miscela di acidi grassi e carboidrati. Le due classi di nutrienti contribuiscono in maniera pressoché uguale. Aumentando la durata dell’esercizio (oltre 1-2 ore) la produzione di energia derivante dagli acidi grassi diventa percentualmente preponderante, anche fino al 70% del totale: infatti, man mano che l'attività procede, le riserve di glicogeno nei muscoli attivi si riducono e la produzione di energia deriva dagli acidi grassi, per cui il podista o il maratoneta, per esempio, pur potendo continuare la prova dovrà rallentare il passo. Massimizzare le scorte di glicogeno nei muscoli può migliorare la performance in termini sia di intensità che di durata.

Nel corso di un'attività muscolare di durata inferiore ai 30 minuti e di intensità elevata, il substrato principale è il glucosio. È questo il motivo per cui sono le attività di lunga durata, anche se di intensità non elevata, quelle maggiormente vantaggiose per la salute, essendo quelle maggiormente utili per perdere peso e per migliorare il profilo lipidico.

Il lavoro aerobico risulta utile per chi svolge attività fisica per dimagrire, non solo perché utilizza di preferenza i grassi, ma anche perché innalza il metabolismo basale (maggior consumo calorico a riposo). L’allenamento dolce e continuato tende a bruciare grassi, l’allenamento intenso e breve brucia carboidrati. L’allenamento da una parte aumenta la concentrazione degli enzimi del metabolismo ossidativo a livello muscolare, dall’altra, attraverso l’aumento dei capillari, facilita lo smaltimento dell’acido lattico.

 

Bibliografia

 
  • Tripodina, "Una Mela al Giorno” (Priuli & Verlucca, 2010).